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TESTO Commento su Gb 19,1; 23-27

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Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2016)

Brano biblico: Gb 19,1.23-27a Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,37-40

37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

«Rispondendo Giobbe prese a dire: "Oh, se le mie parole si scrivessero, se si fissassero in un libro, fossero impresse con stilo di ferro e con piombo, per sempre sì incidessero sulla roccia! Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Gb 19,1; 23-27

Come vivere questa Parola?
La gioia della festa di Tutti i Santi celebrata ieri, continua ancora oggi, anche se in tono più sommesso, nella commemorazione odierna di Tutti i Defunti. Oggi, per i credenti, non è un giorno di tristezza, ma di fede e di speranza nella Risurrezione di Cristo, che fa ancora da sfondo alla liturgia dei Morti, come il colore bianco della festa di Tutti i Santi.
La nostra Madre Chiesa ricorda oggi tutti i suoi figli che hanno varcato la soglia dell'eternità. In questi giorni le chiese e i cimiteri sono mèta d'un continuo pellegrinaggio di fedeli. La ricorrenza dei Defunti, ogni anno sollecita a compiere un gesto di pietà, di preghiera e di affetto verso i Morti e coinvolge anche chi normalmente è distratto da altri pensieri.
Ora ti invito ad ascoltare con commozione il grido di speranza sgorgato dal cuore di Giobbe nella prima lettura e riportato più sopra: «Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! Dopo che questa mia pelle sarà strappata via, senza la mia carne, vedrò Dio. Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro».
Giobbe, colpito da una serie insopportabile di disgrazie e di sofferenze, non accetta le spiegazioni degli amici e non abbandona la sua fede nell'esistenza di Dio. La sua grandezza sta proprio in questo: vive una forte tensione tra il dolore e la fede in Dio, accetta la sofferenza e non abbandona la fede. Egli non può accettare un Dio crudele e ingiusto, lontano. E proprio da questo suo attaccamento a Dio nonostante tutto, sgorga quel grido commovente dal suo cuore, che dalla tradizione è stato visto come una delle più antiche testimonianze sulla sopravvivenza personale al di là del disfacimento corporeo della morte.

La voce della Liturgia
«In Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consola la promessa dell'immortalità futura. Ai tuoi fedeli, o Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un'abitazione eterna nel cielo»
dal Prefazio proprio dei Defunti

Don Ferdinando Bergamelli SDB - f.bergamelli@tiscali.it

 

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