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TESTO Comune denominatore: l'amore di Dio

padre Gian Franco Scarpitta  

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III Domenica di Quaresima (Anno C) (28/02/2016)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Più volte in queste note si è sottolineato come Dio non chiede curriculum. Nella scelta delle persone da inviare come latrici del suo annuncio, il Signore non si avvale di criteri prettamente umani quali la selezione in base a qualifica, esperienza, preparazione culturale o informatica e neppure guarda alle particolarità fisiche o estetiche della persona. Semplicemente Dio sceglie nella sua libertà piena e incondizionata, non è mosso da limitazioni o impedimenti eccetto quelli riguardanti la refrattarietà oggettiva di chi è chiamato. Chiama chi vuole e può farlo in ogni occasione. Nella maggior parte dei casi,, le persone prescelte da Dio per una determinata missione non hanno prerogative culturali o di autorevolezza sociale e neppure grandi attendibilità morali. Si tratta quasi sempre di persone in partenza inadeguate, che lo stesso Signore di volta in volta attrezza in vista della missione che dovranno compiere. Nel caso di Mosè, Dio non bada a predisposizioni particolari o a innate qualità del soggetto che ha di fronte: si rivela come il Dio "Colui che è", l'ineffabile e onnipotente che sovrasta tutto il cosmo e l'intera realtà, ma che dimostra amore e fiducia nei suoi confronti instaurando innanzitutto un dialogo e un'intesa con lui. Il che avviene nella speciale visione del roveto che rimane incombusto resistendo alle fiamme. Di conseguenza gli affida il delicatissimo ruolo di guida e di accompagnatore degli Israeliti nella fuga dall'Egitto, missione questa per cui Mosè verrà debitamente attrezzato, pur essendo egli solo un pastore quasi improvvisato e per di più assassino. La chiamata di Mosè si instaura nell'ottica di un incontro intersoggettivo che si basa sull'amore e sula confidenza e che prescinde dalle innate qualità della persona. Dio gli si propone, poi gli propone qualcosa: la missione. A Mosè non resta che immedesimarsi in quel particolare ambito di amicizia e di intimità e lasciarsi coinvolgere in tutto ciò che ne consegue. E' evidente che la corrispondenza di Mosè comporta un cambiamento di prospettiva e una radicale trasformazione nella sua vita, che tuttavia avviene senza ostacoli e senza difficoltà da parte dell'eletto: questi infatti crede e aderisce perché si è lasciato avvincere e trasformare. Scrive Ratzinger: "La fede ha il suo posto nell'atto di conversione, nella svolta dell'essere, che passa dall'adorazione del visibile e del fattibile al fiducioso abbandono all'invisibile". La conversione conduce alla fede non nel senso del "credo", ma nel significato profondo di "credo e confido; anzi mi affido.." Affidarsi a piene mani all'Io sono che pur restando l'irraggiungibile ci raggiunge fino in fondo è un'attitudine risolutiva soprattutto per chi da Dio viene eletto per un particolare ministero o per un incarico missionario. Oltretutto è pur vero che l'espressione "Io sono", anche se da una parte evince l'assolutezza dell'Essere divino, dall'altra descrive anche la sua vicinanza continua con l'uomo: osserva Kasper, nel suo attualissimo volume sulla misericordia, che "Io sono" nell'originale ebraico ha un valore dinamico e non solo statico: significa in effetti "Sono con voi", "vi accompagno" e comporta quindi l'accoglienza nella fede di un atto favorevole di amicizia da parte di Dio.

Anche nella pedagogia di Gesù si esclude che si possano tracciare paragoni da persona a persona nella scelta vocazionale: il Padre è misericordioso verso tutti e non vi è distinzione nel suo tratto con gli uomini, ad eccezione dei poveri e dei sofferenti. Gesù ribadisce, soprattutto nelle sue parole e nelle sue opere, la misericordia del Padre ma sottolinea il primo aspetto succitato della vocazione: la conversione del cuore. Essa è necessaria anche per evitare nefaste conseguenze. Nell'Antico Testamento (Gen 9, 1 - 3) i fatti tragici e rovinosi erano considerati conseguenza di un peccato o di indifferenza da Dio, per cui si meritava il giudizio. Gesù spiega (anche in altri passi sinottici) che non necessariamente c'è relazione fra le colpe e le calamità naturali che non è detto che coloro che sono colpiti da sciagure siano peggiori di tutti gli altri, ma che in ogni caso occorre sempre convertirsi per non essere vittime della propria presunzione. Per non perire nei nostri stessi peccati. La conversione a Dio è la prima reazione necessaria da parte nostra in conseguenza dell'esperienza del suo amore ed è un passo ineluttabile e improcrastinabile per non precipitare in rovina. Sempre Gesù ci rallegra tuttavia del fatto che Dio attende con pazienza questo nostro passo e non cessa di attendere che noi torniamo a lui. Come il padrone della vigna nella quale sorge questo fico sterile, che ascolta il consiglio del vignaiolo suo dipendente: non taglia il fico ma continua ad affidarlo alle cure del suo bracciante. Il padrone della vigna è Dio Padre, il vignaiolo a cui è affidato il fico è Cristo suo Figlio. Noi siamo il fico sterile piantato nel bel mezzo della vigna che è il popolo di Dio. Cristo Figlio di Dio non cessa di "spargere concime" e di bonificare il nostro terreno, fiducioso che esso rechi frutto. La sua pazienza è inverosimile e rappresenta anch'essa l'amore di Dio Padre e la sua sollecitudine nei nostri confronti affinché ci convertiamo per recare frutti di penitenza e di umiltà. Con tutti i mezzi provvede a renderci produttivi, ma in un'altra occasione Gesù maledirà e farà seccare un fico vero e proprio, non perché non sappia recare frutti (non era ancora la stagione dei fichi) ma ad esempio di condanna per tutti coloro che non avranno voluto convertirsi (Mt 21, 18 - 20). E' la conseguenza perniciosa a cui soccomberanno tutti coloro che rifiutano la comunione con Dio. Piuttosto che intimorirci perché altri hanno subito sciagure paragonando il nostro possibile destino al loro, occorre semplicemente che ci convertiamo cogliendo l'opportunità di un Dio amorevolmente paziente e misericordioso considerando che eventuali refrattarietà e ritrosie nei suoi confronti verteranno solo a nostro danno. Eravamo partiti dalla vocazione di speciale mandato missionario e siamo giunti al tema della conversione. Convertirsi a Dio è la prima condizione per aderire adeguatamente alla vocazione perché una volta trasformata in meglio la nostra vita ogni situazione diventa semplice e dominabile e qualsiasi progetto diventa realizzabile. Fra la conversione e la vocazione vi è però un comune denominatore: l'amore di Dio che liberamente chiama e invia.

 

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