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TESTO A mani alzate

mons. Antonio Riboldi

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (17/10/2004)

Vangelo: Lc 18,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù 1diceva loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: 2«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. 3In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. 4Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, 5dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». 6E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. 7E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? 8Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Ci sono sempre nella vita individuale, sociale, momenti difficili in cui ci prende la paura di essere finiti in un tunnel senza uscita, come se tutto crollasse in noi e attorno a noi.

Sono i momenti che possono indurre alla disperazione o alla paura e ci chiediamo, in quei momenti, a chi affidarsi; chi può ridonarci la serenità persa? Chi può offrirci un amore che sia davvero salvezza? Sono i momenti in cui noi misuriamo la nostra debolezza di creature, una debolezza che, tante volte, abbiamo accantonata, come fossimo "i padroni della vita e dei segreti della vita", che sono invece nelle mani di Dio.

Così come, a volte, proviamo la gioia di perderci nella felicità che ci fa toccare, sia pure forse per poco, l'infinità della gioia, ed è quando ci perdiamo nel cuore e negli occhi di chi ci vuole veramente bene. Momenti di paradiso, che sono solo come una visione del perché Dio ci ha creati, del giusto senso da dare alla vita, ma soprattutto di ciò che "saremo", quando saremo vicino alla fonte della gioia, che è Dio.

La Parola di Dio, oggi, ci offre uno dei momenti difficili per il popolo ebraico, nel suo viaggio nel deserto, verso la terra promessa: un viaggio pieno di asperità, come una grande prova o educazione alla grandezza della vera libertà in Dio. Leggiamolo, perché è davvero bello assistere a come Mosé risolve il "difficile".

"In quei giorni, Amalek venne a combattere contro Israele a Refidim. Mosè disse a Giosuè: "Scegli per noi alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalek. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio". Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalek, mentre Mosè, Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo" (Es. 17, 8-13).

Questo pregare "a mani alzate verso il cielo" affinché dura il pericolo, è quel "pregare sempre, senza stancarsi" di cui ci parla oggi Gesù nel Vangelo: "Dio non farà giustizia, afferma, ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà giustizia prontamente". Ed aggiunge una domanda inquietante, che vale per tutti noi: "Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?" E' difficile definire quel "pregare sempre, senza stancarsi", ma nello stesso tempo, per chi ha avuto il dono di "entrare dentro la preghiera", questo è lo stupendo dono del nutrire l'amore per e con Dio, un amore che poi diventa quella luce del cuore, che accompagna ogni atto e fa davvero felici, anche in questa valle di lacrime.

Quando uno ama sinceramente una persona, non può sottrarsi dalla totalità di entrare nella vita dell'altro, di "stare con l'altro", perché è lì la fonte della felicità e della stessa vita. Chi di noi non ha provato sinceramente l'amore? Amare è un continuo dialogo, ovunque si è e qualunque cosa si faccia.

Scriveva Madre Teresa di Calcutta: "Ti ho trovato in tanti posti, Signore. Ho sentito il battito del tuo cuore nella quiete perfetta dei campi, nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota, nell'unità di mente di una assemblea di persone che ti amano. Ti ho trovato nella gioia, dove ti cerco e spesso ti trovo. Ma sempre ti trovo nella sofferenza. La sofferenza è come il rintocco della campana che chiama la sposa alla preghiera. Ti ho visto nella sublime accettazione e nella inspiegabile gioia di coloro la cui vita è tormentata dal dolore. Ma non sono riuscita a trovarti nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri. Signore io credo. Ma aiuta la mia fede".

Ma la domanda che si pone Paolo VI, e noi con lui, è: "Ma si prega oggi? Si avverte quale significato abbia l'orazione nella nostra vita? Se ne sente il dovere? il bisogno? la consolazione? la funzione nel quadro del pensiero e dell'azione? Quali sono i sentimenti spontanei che accompagnano i nostri momenti di preghiera: la fretta, la noia, la fiducia, l'interiorità, l'energia morale? Ovvero anche il senso del mistero? L'amore?

Dovremmo tentare di coniare, ciascuno per conto nostro, per uso personale, una definizione della preghiera. E potremmo proporcene una molto elementare: la preghiera è un dialogo, una conversazione con Dio. E subito vediamo che essa dipende dal senso della presenza di Dio, che non riusciamo a rappresentare nel nostro spirito, sia per intuito naturale, sai per un atto di fede: il nostro, è un atteggiamento come quello di un cieco che non vede, ma sa con certezza di avere vicino e davanti un Essere reale, personale, infinito, vivo, che osserva, ascolta, ama l'orante. Allora la conversazione nasce. Un altro è qui e quest'altro è Dio". (Paolo VI - Febbraio 1973).

Mi sono chiesto tante volte perché oggi, in tante parti, nel chiuso delle case, o nel silenzio della Chiesa, o per le strade del mondo, molti sanno "stare con Dio" in un silenzio contemplativo e orante, sia pure a volte lasciandosi inondare dal rumore del mondo, che è la voce di chi non ha più voce per Dio. Basta ricordare le veglie dei giovani, ogni volta si radunano per le loro giornate con il S. Padre. Incredibile il silenzio che sanno fare ed il profondo dialogo con Dio che, a volte, dura ore.

Quando si ama, ma si ama veramente, non si stancherebbero mai gli occhi ed il pensiero da chi si ama. Si rimarrebbe per sempre in contemplazione, come la cerva assetata che non si sazia mai di bere alla sorgente. E se a farsi amare da noi è Dio stesso, cosa non dovremmo provare?

Quando leggiamo nel Vangelo, il racconto dell'incontro di Gesù con Marta e Maria a Betania, ci rapisce quello "stare ai piedi di Gesù" di Maria, ad ascoltare, al punto da suscitare l'indignazione di Marta, che affronta Gesù con quelle parole: "Maestro, non vedi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille di aiutarmi". Un rimprovero giusto, che Gesù però cambia in una regola d'oro: "Marta, Marta tu ti affanni e ti preoccupi di troppe cose, una cosa sola è necessaria e Maria ha scelto la parte migliore che nessuno le porterà via" (Lc 10, 38-42).

Diciamocelo però con sincerità: oggi si prega poco: ed è come dire che Dio ci interessa poco. Un vero guaio per la nostra vita. "Chi prega, dicono i santi, si salva: chi non prega si danna". A volte troviamo scuse persino per disertare i grandi incontri con Dio, che si fa vicino a noi per amarci totalmente, come la Messa o la Riconciliazione. Se è così dovremmo davvero preoccuparci. A volte mi chiedo: "Come si fa a portare il peso della vita, della giornata, delle preoccupazioni, senza sentire le nostre mani nelle mani di Dio e il nostro cuore che batte con il Suo, come avviene nella semplicità della preghiera?" Facile in questi casi abbandonarsi alla sfiducia, al vuoto della vita. Un vuoto che non conoscono coloro che sanno mai distrarre il loro sguardo dallo sguardo del Padre, magari anche dicendo brevemente tante volte "Mio Dio quanto ti voglio bene! Stammi vicino!"

Come dovrebbe essere sulle nostre labbra, e più ancora nel cuore, la preghiera del salmista, una preghiera che da sola ci indica la via della serenità con Dio.

"Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla. Sui prati di erba fresca mi fa riposare: mi conduce ad acque tranquille, mi ridona vigore: mi guida sul giusto sentiero, il Signore è fedele!

Anche se andessi per la valle più buia, di nulla avrei paura: perché Tu resti al mio fianco, il tuo bastone mi dà sicurezza. Per me tu prepari un banchetto, sotto gli occhi dei miei nemici. Con olio mi profumi il capo, mi riempi il calice fino all'orlo. La tua bontà e il tuo amore mi seguiranno per tutta la mia vita.

Starò nella casa del Signore, per tutti i miei giorni".

 

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