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TESTO Commento su Giovanni 6,37-40

fr. Massimo Rossi  

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2014)

Vangelo: Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Appena ieri, solennità di Ognissanti, terminavo l'omelia richiamando le ultime parole del Vangelo: "Grande è la vostra ricompensa nei cieli", e mi chiedevo: qual è questa ricompensa? vedere Dio faccia a faccia, contemplare il Suo volto glorioso. Tutta sta fatica qui in terra per una ricompensa che riceveremo solo dopo la morte, ricompensa per ora solo promessa e dunque legata alla fede... Ne vale la pena? I Santi, lo ripeto oggi, memoria dei nostri defunti, i Santi ci dicono che ne vale la pena; e prima dei Santi ce lo dice Gesù Cristo, con il vigore e l'autorevolezza della sua Passione.

Il Vangelo di oggi è tratto dal capitolo 6 di Giovanni, una lunga catechesi sul pane di vita: dopo aver moltiplicato il pane e aver sfamato la folla, il Signore rivela che il pane della vita, il pane disceso dal cielo è lui, chi mangia la sua carne vivrà in eterno. All'udire quell'annuncio così esplicito e senza mezzi termini, tutti rimasero sconcertati.

I Giudei mormoravano: "Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?" (v.42). "Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui" (v.66).

Colpisce il fatto che una simile reazione umana segua ad una profezia (positiva) di salvezza; fosse stata annunciata, che so, una catastrofe, una guerra, una pandemia, l'ennesima deportazione...

Ma Gesù parlava di salvezza!... è vero, si tratta della salvezza oltre la vita; ma i segni di salvezza e di liberazione che Gesù offriva erano così chiari, da non lasciare dubbi: quell'Uomo era, quell'uomo è veramente il Messia atteso da secoli; credere in Lui non era, non è un azzardo, un salto nel buio.

Di questa lunga e articolata catechesi sul pane di vita, oggi abbiamo ascoltato solo poche righe, troppo poche per comprendere che la salvezza non è solo quella che ci attende dopo la morte: c'è una salvezza futura, ultima, ma c'è anche una salvezza presente, immediata! Più e più volte, Gesù parla al presente e non al futuro: chi mangia il Suo corpo è già salvato! e può vivere da salvato! Ma qui cominciano le dolenti note... essere salvati e vivere da salvati non sono sinonimi: essere salvati è opera di Dio; vivere da salvati è invece opera nostra! si tratta di due facce della stessa medaglia: l'una senza l'altra non possono stare.

In altre parole, la salvezza operata da Cristo sulla croce, non sarà efficace in noi, se non avremo deciso di renderla efficace con un adeguato stile di vita.

Insomma, ritorna il più volte menzionato principio che Dio non ci educa alla dipendenza, ma all'autonomia! Come si addice a persone libere e consapevoli, ciascuno di noi è chiamato a decidere di sé, affrontando ogni giorno avventure e disavventure come uomini e donne di fede.

Se continuiamo a chiedere l'intervento di Dio, ogni volta che dobbiamo superare degli ostacoli, non facciamoci illusioni, la nostra esistenza non sarà da uomini e donne liberi, ma da (uomini e donne) servi, dipendenti in tutto e per tutto da un destino tanto cieco quanto imprevedibile. E la morte continuerà a farci paura, a coglierci impreparati, a volgere in tragedia le giornate nostre e altrui.

Un giorno mi capitò di sentir dire da un uomo di fede che soffrire e morire altro non sono che la Via Crucis dell'uomo, in cammino verso la sua pasqua: lo si può dichiarare tanto di una persona singola, quanto di una famiglia religiosa, e di qualsiasi consesso umano costituito nel nome di Cristo, ed alimentato dalla fede.

Credo che pensare i nostri dolori e la nostra morte nei termini dalla Passione di Cristo, cioè preludio alla Risurrezione, non eviterà certo le sofferenze, la tragedia del distacco, ma ci preserverà, forse, dalla disperazione, evitando almeno l'errore di enfatizzare il dolore e la morte, quasi fossero il fine, oltreché la fine, della nostra esistenza! Qualsiasi espressione del dolore diventa centrale nella vita di un uomo, se l'uomo gli riconosce centralità e preponderanza nella propria vita.

Insomma l'uomo non è il suo dolore! così come la vita non è una croce!

So bene che queste affermazioni, pronunciate da chi non ha mai sofferto grandi dolori - ma sarà poi vero? -, suonano quasi offensivi alle orecchie di chi, invece, sta male da tempo, e non ha prospettive di guarigione.

Tuttavia, certe espressioni che sentiamo spesso in giro, anche nei nostri ambienti dichiaratamente cristiani, del tipo: "si viene al mondo per soffrire", "non vale la pena darsi da fare, tanto, prima o poi si muore tutti"... smentiscono la fede cristiana, che è sempre fede nella risurrezione!

Come definireste la nostra cultura? Cultura della vita, o cultura della morte?

Francamente, di esaltazione della vita, in questo nostro mondo occidentale, non ne sento granché parlare... e questo è paradossale, visti gli slogans e le iniziative organizzate da più parti a favore della salute fisica, mentale, etc. etc. Parere personale!

Parlare, scrivere, girare film sulla morte, è forse un modo per esorcizzare la paura della morte...

Nel Medioevo si dipingevano le danze macabre, dove giovani e ragazze nel fiore degli anni danzavano insieme agli scheletri, tenendosi per mano, tutti insieme appassionatamente.

Sono convinto che non si possa parlare della vita che vince sulla morte, senza la speranza cristiana: se i cristiani hanno un posto nel mondo, ebbene questo posto è il posto della speranza!

All'inizio dell'omelia, ho ricordato che, dopo avere ascoltato l'insegnamento di Gesù sul pane di vita, molti discepoli presero le distanze da Lui e non si facevano più vedere in sua compagnia; il Signore chiese ai Dodici, se volevano andarsene anche loro; Pietro rispose: "Da chi andremo Signore? soltanto tu hai parole di vita eterna".

Pietro aveva ragione: non c'è nessuno che sia in grado di esaltare la vita presente e futura, come Gesù di Nazareth: credere in Lui, sperare in Lui è la strada giusta, l'unica, per vivere pienamente la nostra esistenza terrena, nonostante le fatiche, il dolore, la morte... e, al termine di questa vita, breve o lunga che sia stata, ringraziare il Buon Dio che ce l'ha data, così com'è.

 

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