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TESTO Commento alla liturgia

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XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/10/2014)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

A cura di Alvise Bellinato

PRIMA LETTURA
Amerai il prossimo tuo come tu sei stato amato da Dio

Nel Capitolo 11 del Vangelo di Luca, Gesù in segna ai suoi amici come pregare.

«Quando pregate, dite: "Padre, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano; e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore; e non ci esporre alla tentazione"».

Fa riflettere la parte di questa preghiera in cui si parla del perdono, che potrebbe essere interpretata in due modi:

1. Siccome noi perdoniamo ad ogni nostro debitore, Ti chiediamo di perdonarci i nostri peccati;
Oppure:

1. Perdonaci i nostri peccati, affinché anche noi perdoniamo a ogni nostro debitore.

Se scegliamo la seconda opzione, scopriamo che il perdono ricevuto da Dio diventa pre-condizione per poter offrire poi il perdono agli altri.

Soltanto chi ha fatto l'esperienza dell'amore misericordioso di Dio, il quale si getta dietro le spalle i nostri peccati e non li ricorderà mai più, potrà a sua volta perdonare gli altri allo stesso modo: solo chi ha ricevuto misericordia sarà capace poi - con una scelta libera e consapevole - di donare la stessa misericordia ai fratelli: "Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi" (Col 3, 13).

Questa idea del dono ricevuto, che diventa in noi capacità e libero impegno per trasformare la nostra vita in dono donato, è espressa bene nella prima lettura di oggi:

"Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto".

Dio ci chiede di applicare agli altri lo stesso metodo che lui ha applicato a noi: "Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date" (Mt 10, 8).

La memoria di ciò che Dio ha fatto nella nostra vita, diventa sapienza e capacità di comprensione delle situazioni altrui: noi sappiamo quanto difficile è stato vivere da forestieri, per questo non opprimeremo il forestiero. Noi sappiamo quanto abbiamo peccato e come Dio ci ha sempre perdonato, per questo perdoneremo gli sbagli altrui.

In una parola: cercheremo di amare gli altri come Dio ci ha amati.

"Amerai il prossimo tuo come tu sei stato amato da Dio".

SECONDA LETTURA

Amerai Dio sempre e con gioia

La terza legge della dinamica di Newton dice "Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria".

Questa legge della dinamica, fin dai tempi di Freud è stata riconosciuta e discussa, ma in modi diversi a seconda degli autori che se ne sono occupati, anche in psicologia.

Se ricevo un pugno, mi troverò in situazione di scompenso psicologico finché non riuscirò a dare un pugno. Il male ricevuto (azione) mi causerà un deficit psicologico che io potrò compensare restituendolo (reazione), possibilmente nella stessa quantità (uguale) e alla persona che me lo ha fatto (contrario).

Nella seconda lettera ai Tessalonicesi S. Paolo nega, nell'ambito della vita psicologica e spirituale, la terza legge della dinamica di Newton ed enuncia la prima legge dello Spirito Santo: "Avete accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo".

Per quanto grandi siano le prove (azioni), non c'è alcun accenno a ribellioni (reazioni uguali e contrarie), finalizzate al ripristino di uno scompenso causato da sofferenze ricevute. "L'esempio del Signore" di cui parla Paolo nella seconda lettura è la rassegnazione, cioè la capacità di "attraversare il segno" (trans segnum), di leggere il vissuto sofferto alla luce della fede.

Questo tipo di risposta amorosa, contrariamente alla terza legge di Newton, produce gioia, pace, desiderio di bene. La fede porta a una nuova alleanza con la vita, fondata sull'abbandono confidente.

Nessun desiderio di reazione verso colui che ci ha causato sofferenza (fosse anche Dio, nella nostra errata interpretazione), nessuna necessità di compensazione psicologica o emotiva... solamente la fede, che diventa fiducia in Uno che conosciamo personalmente e il cui esempio ci guida e ispira.

"E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore", dice S. Paolo.

La logica dell'amore cristiano rovescia le categorie umane di compensazione/scompenso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35)!
"È dando che si riceve" (S. Francesco).

È amando sempre (anche nelle prove) che si sperimenta l'Amore.
VANGELO
L'Amore è la pienezza della Legge
I comandamenti, come ben sappiamo, sono dieci.

Accanto a questi dieci, scritti su tavole di pietra dal dito di Dio (Es 31, 18), ce n'erano - al tempo di Gesù - altri 613, non scritti ma orali, chiamati mitzvot (precetti) e osservati scrupolosamente dai giudei ortodossi.

La Torah (Legge) contiene 613 mitzvot dei quali 248 sono comandamenti positivi, obblighi e 365 sono comandamenti negativi, divieti: i precetti positivi obbligano a compiere una determinata azione (come ad esempio l'obbligo della circoncisione maschile); quelli negativi vietano di fare una determinata azione (come ad esempio il divieto di indossare capi composti da lana e lino insieme).

Il numero di questi precetti è sicuramente carico di significati simbolici: come ci insegna la Tradizione Rabbinica 248 era considerato infatti il numero delle ossa del corpo umano e 365 sono notoriamente i giorni dell'anno; attraverso questi numeri la Torah quindi vuol dire che con le nostre 248 singole ossa dobbiamo compiere le 248 azioni prescritte e che ogni giorno dell'anno dobbiamo impegnarci a non violare i 365 precetti negativi.

Al tempo di Gesù era vivace la discussione circa quale di questa lunghissima serie di comandamenti e precetti della Legge fosse il "Grande".

Un Dottore della Legge chiede a Gesù: "Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?".

Lo chiede in malafede "per metterlo alla prova", non perché gli interessi la risposta.

Ma Gesù, con pazienza e amore gli risponde: «"Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

La risposta di Gesù non si perde nei meandri delle interpretazioni, delle dotte discussioni, della casistica, delle differenti scuole rabbiniche.
Come sempre, Gesù punta al cuore, all'essenziale.
"L'amore è la pienezza della legge" (Cfr Rom, 13,8).
L'unico comandamento, quello "grande", è l'amore.

«Ama e fa' ciò che vuoi»: è una delle frasi più famose e più citate di S. Agostino. Pochi però sanno in quale contesto essa si trovi e che cosa significasse nelle intenzioni dell'autore. Il contesto è l'interpretazione della Prima lettera di Giovanni, alla quale il vescovo d'Ippona dedicò un ciclo di dieci omelie, le prime otto predicate dal 14 aprile (domenica di Pasqua) al 21 aprile (ottava di Pasqua) del 407. La frase in questione si trova nell'omelia 7, predicata sabato 20 aprile. Agostino sta commentando i versetti 4-12 del capitolo 4 dell'epistola giovannea, un passaggio cruciale del testo sacro, lì dove Giovanni afferma solennemente che «Dio è amore» e che «in questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio [...] come vittima di espiazione per i nostri peccati».

Nel consegnare suo Figlio al sacrificio della croce, Dio ha dunque rivelato ciò che Egli è, ossia Amore. Anche Giuda, potrebbe obiettare qualcuno, ha consegnato Gesù alla morte, ma il suo fu tradimento; forse che anche Dio ha tradito suo Figlio? No, risponde Agostino, perché il medesimo atto cambia di valore a seconda dell'intenzione con cui viene compiuto: nel caso di Dio, si trattava di amore, nel caso di Giuda di tradimento. Così, anche noi dobbiamo anzitutto porre alla base del nostro agire l'amore per il prossimo; in questo modo, ad esempio, sgridare potrà essere un atto d'amore (come succede tra padre e figlio), mentre al contrario essere gentili senza amore potrebbe essere solo un comportamento interessato (come tra mercante e cliente). Ecco allora l'invito: «Ama e fa' ciò che vuoi (Dilige et quod vis fac)»: non un'esaltazione del sentimento e del capriccio, bensì un'esortazione alla responsabilità per il bene del prossimo.

Per noi cristiani, la memoria di ciò che Dio ha fatto e di quanto ci ha amato, sia stimolo quotidiano ad amare.

La Presenza dello Spirito ci guidi ad amare anche nei momenti di prova, con gioia.

L'Amore verso Dio e verso il prossimo sia la suprema regola di vita e il punto di riferimento di ogni scelta.

 

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