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TESTO Commento su Gb 19,1.23-27a; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40

Casa di Preghiera San Biagio FMA  

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2014)

Vangelo: Gb 19,1.23-27a|Sal 26|Rm 5,5-11|Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,37-40

37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Con l'autunno termina un anno liturgico e ne inizia uno nuovo fra tre settimane con l'avvento. In quest'ultimo periodo del tempo ordinario celebriamo la memoria dei defunti. Sono stati i celti a collocare in questo periodo dell'anno solare la memoria dei morti. La Chiesa ha solo cristianizzato questa memoria rendendola una delle ricorrenze, da sempre, più amata e partecipata, proiettandola nella fede pasquale del Risorto. Questa proiezione fa sì che per il cristiano la morte non sia più l'ultima realtà umana.
La nostra società occidentale secolarizzata è passata, nel dopo guerra, progressivamente e velocemente, dalla familiarità con la morte alla morte nascosta, rifiutata e rimossa: fuggire la morte è la tentazione del mondo occidentale di oggi.
Il giorno dedicato ai defunti dovrebbe essere anzitutto la celebrazione della nostra più grande speranza se davvero crediamo nella fede pasquale del Risorto. Ma non solo, ci che si impone alla nostra attenzione, in questo giorno, è il carattere di fugacità e di brevità della vita che segna in maniera dolorosa la nostra vicenda umana.
Non esiste una "bella morte"; si tratta sempre di una prova, conseguenza del peccato. Non fa eccezione neppure la morte di Gesù: l'agonia del Getsemani di cui Cristo ha voluto portare il peso del peccato del mondo. Ma chiudere gli occhi di fronte alla verità è stoltezza mentre la saggezza è, secondo il libro dei salmi, in colui che sa contare i giorni, perché questa capacita di riconoscere il limite del nostro esistere ci dà la misura giusta della vita. Noi i nostri morti, nel momento del distacco, li abbiamo affidati all'amore e all'eternità del Signore ed essi dicono a noi che l'amore eterno di Dio conserva nella sua memoria il meglio della nostra vita. Non solo, ma dimentica tutte le nostre azioni e le nostre vergogne, e attira ci che nella nostra vita era in accordo col Vangelo. Inoltre ci dicono anche che non è il caso di sprecare tempo e fatica per ambizione che non servono a nulla, perché tutto è vanità. Solo l'amore rimane.
La prima lettura è tratta dal libro di Giobbe. L'autore sacro ci ricorda che quando le cose vanno bene sono in molti a dichiararsi amici, ma sopraggiunta la sventura, gli amici diminuiscono in maniera drastica e si rimane soli col proprio dolore.
Nella solitudine totale, Giobbe, sente che ormai i suoi giorni vengono meno, ma ha una speranza nel cuore, che lo proietta al di là del sepolcro: "So che il mio redentore è vivo... Dopo che questa mia pelle sarà distrutta...io vedrò Dio... e lo contemplerò non da straniero".
La morte non è più l'ultima realtà dell'uomo, l'ultima realtà, per chi crede in Cristo è la vita eterna.

Il salmista ci dice che solo il Signore è luce, salvezza e vita; che non ci abbandonerà mai alle brame del nemico; che ci farà contemplare " la bontà del Signore nella terra dei viventi.
La seconda lettura è tratta dalla lettera ai romani dell'apostolo delle genti. per S. Paolo l'uomo non può rifiutare di sperare, anche se ultimamente sono troppi quelli che gli vogliono togliere la speranza. Pertanto ci rivolge l'invito a resistere alle angosce alle incertezze perché Dio, ormai, ci ama per sempre.
Il fondamento della speranza cristiana sta nella prova di amore che Cristo ci ha dato sedendo a tavola con i peccatori, facendo comunione con loro/noi e, soprattutto, morendo in croce.

Il vangelo di Giovanni che viene letto durante la liturgia dell'odierna festività è il proseguimento dell'episodio della moltiplicazione dei pani. Gesù dopo la moltiplicazione dei pani prende l'occasione per parlare della vita nuova che egli è venuto a inaugurare nel modo per chi va a lui e lui non lo respingerà.
Il cristiano è colui che va al figlio ogni giorno, nonostante la sua esistenza è contraddetta dall'infedeltà e dal peccato, è colui che cade e si rialza "perché il signore lo tiene per mano. Gesù non respinge i peccatori ma gli abbraccia, è venuto per loro non per quelli che si ritengono "giusti".
Ai giudei che non sanno vedere che gli ha sfamati per un tempo breve, Gesù offre il pane della vita eterna, offre loro e a quanti credono il lui l'esodo da questo mondo al Padre. Questo è il significato della festività odierna. Significato di speranza che nessuno ci potrà togliere.

 

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