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TESTO Nella morte, la vita

padre Gian Franco Scarpitta  

Commemorazione di Tutti i Fedeli Defunti (Messa I) (02/11/2013)

Vangelo: Gv 6,37-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 6,37-40

37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Ieri ci si è intrattenuti sulla Festa dedicata a coloro che hanno raggiunto, grazie ai loro meriti, il premio della gloria eterna: i Santi. Di essi non c'è dubbio che il Signore li abbia assunti al suo cospetto e che godano adesso in ugual misura la vita senza fine. Oggi invece ci dedicheremo particolarmente a tutti coloro che, non più materialmente fra noi, non hanno ancora raggiunto la cuspide della Vita perché non immacolati da residui di colpa e gravati quindi dalle pene purgatoriali. Non occorre infatti dimenticare la situazione intermedia esistente fra l'Inferno (pena eterna irreversibile) e il Paradiso (dimensione opposta della gloria piena indefinita, che viene definita dal III secolo con il termine di Purgatorio, che necessariamente deve esistere visto che il nostro Dio è veramente misericordioso nei confronti delle anime dei nostri cari.

Se infatti esistesse l'aut aut fra Paradiso e Inferno senza nessun'altra alternativa, non sarebbe vero che Dio è Padre di misericordia anche al di là di quanto noi immaginiamo, poiché in tal caso metterebbe l'uomo alle strette fra la condanna definitiva e il definitivo premio senza fine senza dargli alcuna possibilità di scampo. E poiché la natura umana è eccessivamente fragile e caduca, saremmo tutti condannati in partenza. Dio invece ama l'uomo fino in fondo e tende a salvarlo con tutti i mezzi, anche quelli che noi non immaginiamo, servendosi di prerogative al di sopra delle nostre concezioni mentali e andando anche oltre la disfatta e ben oltre la morte. L'amore di riconciliazione supera infatti la morte, che diviene impotente e inesistente. Ecco che allora ha realizzato la possibilità per cui, nonostante i nostri limiti e la nostra peccaminosità, ci si può salvare anche dopo la fine di questo corpo mortale attraverso un processo di purificazione. Appunto il Purgatorio. Esso è la prova esaltante dell'amore di Dio che concilia e che salva anche oltre la morte terrena, perché vuole a tutti i costi dare ogni possibilità all'uomo.

Nel Purgatorio i nostri cari defunti possono considerarsi già salvi perché tale prospettiva di purificazione costituisce un passaggio verso la gloria certa, anche se essa è preceduta da un (speriamo non troppo lungo) periodo di pena transitoria. Dio nel Purgatorio dimostra amore e fiducia, in esso rinnova la propria fedeltà all'uomo e lo recupera inoppugnabilmente alla comunione con sé, avendo così la meglio sulla morte anche al di fuori del nostro corpo mortale.

Come se non bastasse, Dio aiuta le anime purganti anche attraverso la nostra preghiera e i nostri suffragi. Tali mezzi spirituali costituiscono infatti un vantaggio per le anime purganti, poiché attraverso di esse possiamo ottenere che il loro cammino verso la patria celeste venga notevolmente ridotto. Ogni messa applicata per un defunto, quale sacrificio eucaristico nel quale Cristo stesso interviene apportando ogni pienezza di grazia, guadagna al defunto per cui viene applicata un forte "sconto" sulle pene temporali e lo aiuta a raggiungere con maggiore speditezza il premio succitato della gloria. Ogni celebrazione è di ausilio alle anime di tutti i defunti, oltre che a quelle dei nostri cari e l'Eucarestia apporta i suoi profondi vantaggi per i suffragi dei nostri cari purganti.

La Messa di suffragio e la preghiera, unitamente alle opere di carità (necessarie e foriere di ulteriori vantaggi) sono di supporto ai nostri defunti e anche la visita al cimitero, la sosta davanti ai sepolcri, il soffermarsi in orazione di fronte agli epitaffi e alle lapidi rendono omaggio e venerazione ai nostri defunti, purché non si tratti di gesti meramente esteriori, ma che scaturiscano da un vero sentire di comunione con loro da parte nostra.

La giornata dedicata a tutti i defunti non è una celebrazione luttuosa, se consideriamo l'onnipotenza del Dio amore che valica anche il sepolcro su ciascuno dei nostri cari, dopo aver vinto egli stesso la morte fuoriuscendo glorioso dal suo sepolcro. Il morire cristiano non è un semplice trapassare dell'anima da uno stato all'altro, ma realizza un incontro individuale con Dio amore che salva, apportando la fiducia e la speranza nella vita senza fine.

Nella fede, possiamo coltivare la certezza che i nostri cari hanno raggiunto o sono in procinto di raggiungere la pienezza della vita che solo la fine di questo corpo può dare, la gioia senza fine che non è paragonabile alle nefandezze della vita presente, il premio eterno che segue alle ansie e alle sollecitazione di questo tempo ordinario e combattuto. Con essi possiamo anche instaurare un regime di comunione e di reciproca benevolenza che si esterna appunto nella preghiera. In essa non solamente abbiamo la possibilità di rendere loro la debita venerazione, ma anche di esperire la loro presenza perenne in mezzo a noi, la loro compagnia attenta e disinvolta che ci rivolgono adesso, più di quando sostavano con noi condividendo gioie e dolori.

 

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