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TESTO I "saldi" del Vangelo. Non è stagione

don Marco Pozza  

XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (18/08/2013)

Vangelo: Lc 12,49-53 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 49Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! 50Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. 52D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; 53si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Mica se l'era scelta quell'infausta avventura: fosse stato per lui, forse il suo destino si sarebbe spostato di poco dai confini di Anatot, piccola cittadina che gli diede i natali e che come credito strappò fama e gloria tra le pagine della Scrittura.

Geremia - è di lui che si parla - mica l'aveva scelto il mestiere di profeta: l'unica professione - a differenza del saltimbanco, del funambolo o dell'elettricista - che non è dato scegliere ma esclusivamente ricevere, al netto di tante storie e altrettante scusanti. Portasse almeno alla gloria, quell'ingrato mestiere varrebbe la fatica di viverlo: stavolta, al contrario, porta in una cisterna appena all'infuori di un carcere. Poca gloria per chi dall'Alto è chiamato ad essere voce di una Parola fastidiosa e imbarazzante, astrusa e scomoda, spinosa e mal accomodante: se non è una cisterna sarà lo stomaco di un cetaceo come per Giona, o poco di meglio. Eppure era mite Geremia: la differenza la fece quella Parola che venne chiamato a divulgare, che fece di lui un reietto, un uomo da tenere a giusta distanza. Un uomo da far annegare nel fango. L'aveva giurato, forse nel pieno dello sconforto: "non mi ricorderò più di lui, non parlerò più in suo nome" (20,9). Ma poi dovette cedere all'attrazione di una Presenza che gli divorava l'anima: "ma nel mio cuore c'era un fuoco ardente. Mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo" (20,9b). E riprende di nuovo la strada. Non si esce mai indenni da un'autentica esperienza con Dio: c'è gioia suprema, ma anche sofferenza disumana. Geremia non è un disfattista, è semplicemente un uomo lucido. Egli vede che il peccato ha minato ogni cosa, stravolto tutte le istituzioni. Israele ha saputo persino rovinare il perdono di Dio, la sua pazienza e fedeltà. Tant'è vero che malgrado le ripetute minacce del Signore, il popolo ha smesso di avere paura. Basta un po' di pentimento - dice la gente - e Dio è sempre pronto a perdonare: non è forse il Dio fedele? Così la fede nella bontà di Dio è rovinata. E la cisterna si apre: "allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell'atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c'era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango". Il banco di prova di un leader è sempre la comunità.

    Non ho avuto una folgorazione, una rivelazione improvvisa, un momento della verità: è stato il lento accumularsi di una miriade di offese, di una miriade di indegnità, di una miriade di momenti dimenticati a far scaturire in me la rabbia, la ribellione, il desiderio di combattere il sistema che imprigionava il mio popolo. Non c'è stato un momento particolare in cui abbia detto: da qui in avanti mi consacrerò alla liberazione del mio popolo; invece, mi sono semplicemente ritrovato a farlo, e non potevo fare altrimenti.

    (Nelson Mandela, Lungo cammino verso la libertà, Feltrinelli, Milano 1995)

E' la malinconia del Vangelo che trasuda dalle parole di Cristo: il fuoco l'ha portato ma "quanto vorrei che fosse già acceso!". Che l'abbia portato non basta, occorre qualcuno che l'accenda, come capita per il sole: non basta che il sole splenda, è necessario che qualcuno alzi la tapparella. C'è anche gente che scambia la luce della abat-jour con la luce del sole, che arreda la sua cella come fosse la sua casa, che s'arresta alla promessa senza sporcarsi le mani per renderla una storia. E Dio soffre, non illude, quasi spaventa: tutti contro tutti, nel suo nome. Dio non arretra, sembra non conoscere la logica dei "saldi", illustra il suo messaggio prima che l'uomo l'accolga: "padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera". Un pandemonio familiare - potrebbe insinuare qualcuno. In realtà è la logica stessa di una Parola che non scende al compromesso, che chiede lealtà promettendo persecuzione, che assicura fedeltà assoluta in cambio della follia d'accoglierla. Rimane quell'esortazione: "perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?". Che è come dire: "perché non ragioni con la tua testa?". C'è gente - non solo in tempi di crisi - che accetta di dare la sua testa in comodato d'uso, che mette in affitto il cuore, che lascia scoperte le serrature della sua anima: per costoro quella Parola è dura, brucia, s'arrovella bruciando. Sono sillabe che sono le fondamenta dell'uomo: è quello che facciamo di ciò che abbiamo ricevuto, non ciò che ci viene scontato, che distingue una persona da un'altra. C'è forse oggi un anticipo di spiegazione del perché di quella Croce che stanno innalzando all'orizzonte: d'altronde quando un uomo si assume gravi rischi, spesso sopporta gravi conseguenze. E questo Cristo lo mise in capite del suo annuncio. Per non ingannare l'uomo.

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