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TESTO Non abbiate paura

mons. Antonio Riboldi

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (16/05/2004)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,23-29

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

Vorrei, e di cuore, ringraziare tutte quelle comunità cristiane che non mi danno pace nell'invitarmi a stare con loro, anche per una sera, come a confermarsi nella fede. Si sente ovunque come un grande bisogno di uscire da questo malessere che ci circonda e tante volte mette in discussione la stessa bellezza della vita.

Ed è come se la gente, tutta, avesse bisogno di sentire una parola, o meglio "LA PAROLA CHE E' CRISTO", che spazzi via le pericolose nebbie dell'anima.

E per me, vi confesso, è davvero un grande dono poter offrire la Via della Vita, che è Cristo. Grazie di questo. C'è attorno a noi troppa gente che ci inganna, diciamolo con franchezza. Ci inganna prospettandoci altre interpretazioni della vita, che sono una avventura in sogni che, anche se raggiunti, non sono la felicità.

Quanti falsi sogni offrono e non sono mai quello che il cuore sogna. Facile trovare sulla nostra strada "falsi maestri". Proprio oggi gli Atti degli Apostoli denunciano quanti "sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi". Così scrivono Paolo e Barnaba ai cristiani di Antiochia: "Abbiamo saputo che alcuni, da parte nostra, ai quali non avevamo dato alcun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi, sconvolgendo i vostri animi. Abbiamo deciso tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi, insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, uomini che hanno votato la loro vita al nome del nostro Signore Gesù Cristo" (At.15,22-29).

Non è quindi solo di oggi questo diabolico lavoro di intorbidire le anime, come se non bastassero le tante nubi che già abbiamo per conto nostro.

Abbiamo bisogno della chiarezza del cuore, quella che solo Gesù sa dare con la Sua Parola. Noi non siamo stati creati dalla VERITÀ per annaspare nel buio e farsi prendere per mano dai bugiardi, ma siamo stati creati per la verità.

E qui la Chiesa, tutta, vescovi, preti, laici, siamo non solo chiamati, ma "mandati" a fare strada alla verità nei fratelli. Ci vuole conoscenza di Dio, non superficiale, ma profonda, come è di chi deve essere per sua natura, testimone della verità e della carità, e quindi il coraggio di annunciare, a chiunque, ovunque.

Il silenzio è grave colpa perché fa strada al chiasso della menzogna e noi abbiamo il compito di sbarrare la strada ai "cattivi maestri".

Scriveva il caro don Tonino Bello: "Dobbiamo essere una Chiesa libera da condizionamenti storici e politici: profetica e coraggiosa, guidata da persone audaci che non temono il confronto con il mondo, che vivono con lo spirito profetico della resurrezione. Una Chiesa che per giunta deve anche sognare con i poveri.

Una Chiesa che non sogna non è chiesa...è solo apparato. Solo chi sogna può evangelizzare...Occorre andare e piantarsi al centro della piazza, dove ferve la vita, dove passa la gente, dove si costruisce la storia, all'incrocio delle culture, non per catturarle o per servirsene, ma per orientarle e servirle.

Significa sporcarsi le mani, imbrattarsi il vestito. Non significa mettersi in piazza per ricompattare la gente, per aggregare squadroni, per occupare spazi in concorrenza con le culture del tempo e con le ideologie mondane". Significa dire Dio, ridare all'uomo la sua dignità di figlio di Dio e quindi aiutarlo ad aprire il cuore ai sogni di Dio, che sono un futuro, che è oggi. Ma ci vuole, ripeto, il coraggio della fede. Facile sognare gesta di santi, che non sono solo sogno, senza calarsi nella realtà. Facile essere profeti di sventra, che non sanno tracciare vie di speranza con il Vangelo urlato dai tetti. Facile spargere pessimismo che è in effetti la resa di chi non osa sognare e mettersi in gioco.

Ed è un coraggio che in fondo è la nostra vocazione al martirio, per la fede che non avevano neppure gli apostoli prima della Pentecoste. Basta pensare alla paura che li prese nel momento in cui Gesù si consegnò ai suoi crocifissori, che non sapevano che, così facendo, attuavano il grande piano di amore del Padre per noi: un amore che aveva dato il Figlio per salvarci.

E Gesù stesso che, dopo, la sua resurrezione, dice ai suoi: "Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore" (Gv. 14,23-28).

Il Vangelo della speranza - scrive il Santo Padre nella sua esortazione "La Chiesa in Europa!" n. 457 -, consegnato alla Chiesa e da lei assimilato, chiede di essere ogni giorno annunciato e testimoniato. E' questa la vocazione propria della Chiesa in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale della grazia, riconciliare con Dio i peccatori, perpetuare il sacrificio del Cristo nella S. Messa, che è il memoriale della sua morte e resurrezione".

Credo proprio che alla nostra Chiesa oggi sia necessario il coraggio apostolico, quello che Gesù ha donato a noi con il Suo Spirito infuso nei nostri cuori. Noi, poveri uomini, abbiamo dentro l'incapacità di "pensare in grande", come è il farsi riempire della conoscenza del Padre, eppure ne sentiamo una nostalgia immensa: abbia dentro l'anima un infinito desiderio che Qualcuno ci ami fedelmente, immensamente ed eternamente, come solo Dio sa e vuole fare, ma nello stesso tempo abbiamo paura di affidarci al Suo Amore, perché ci trattiene l'incertezza di mettere le nostre mani in quelle di un Altro.

Ma che fede sarebbe la nostra se non avesse lo splendore del coraggio, che non teme di fare dono della vita, se necessario: un coraggio che è suggello sicuro della verità e nello stesso "attrazione" per chi ha nostalgia del bello, del vero e del bene?

In questo dimostriamo davvero la nostra grande povertà, su cui invece Dio costruisce i santi.

Mi hanno sempre attirato l'esempio dei martiri che vedevano nel dare la vita il modo più bello per dire a Gesù la propria fedeltà.

Parecchie volte mi recai pellegrino in Polonia, al tempo della dittatura. Il luogo che più mi attirava, dopo il Santuario della Madonna di Cestokowa, era Auswitzh, il campo di concentramento dove furono fatti morire migliaia di Ebrei.

Ed entrando correvo subito al cosiddetto "muro delle fucilazioni", posto in un corridoio tra due palazzine dove attendevano la morte tanti. A quel muro, mi si diceva, furono fucilati ben 20.000 persone. Ed era grande impressione essere lì. Ma ciò che tratteneva quasi in contemplazione era la cella, sottostante il corridoio di questo muro dove furono condannati a morire di fame e sete dieci persone tra cui il beato Massimiliano Kolbe. Mi si raccontava che per farli soffrire di più, in piena estate, venivano accesi i caloriferi. Ma quello che suscitava in me commozione ed anche umiliazione, era sapere che per tutto il tempo il beato Massimiliano invitava i suoi compagni a pregare e cantare, come se andare incontro alla morte fosse un andare a nozze. Nessuno riusciva a farli tacere. Lentamente morirono tutti, tranne Massimiliano che continuava a cantare le lodi al suo Signore e a Maria SS.ma di cui era devotissimo. Morire per Cristo era una festa. Come lo è per tutti i martiri di ogni tempo. Come lo è per tanti cristiani, oggi, la cui vita è continuamente perseguitata...anche tra di noi. Alla fine i tedeschi per farlo tacere, l'uccisero con una iniezione di morte. C'era da stare giornate intere a riflettere sulla bellezza di testimoniare la fede...ma nello stesso tempo arrossire per le nostre paure a dirci cristiani.

Con un poco di fermezza, ottenni di celebrare la Messa lì, in quel corridoio della morte, vicino alla cella di Massimiliano. Chiedevo per me, per la Chiesa quello stupendo coraggio che troppe volte non abbiamo.

E l'ultima volta che andai, fu proprio dopo l'attentato fatto al S. Padre, il 13 Maggio, festa della Madonna di Fatima, in Piazza S. Pietro.

Massimiliano e il nostro Papa sembrava mi tendessero la mano per camminare con gioia nella missione, quella di donare Cristo agli uomini.

Oggi questo coraggio lo prego per tutti voi, miei cari, e con tutto il cuore.

 

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