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TESTO Unità nella diversità

padre Gian Franco Scarpitta  

VI Domenica di Pasqua (Anno C) (05/05/2013)

Vangelo: Gv 14,23-29 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 14,23-29

23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.

Le controversie e le divisioni all'interno della Chiesa in ragione di presunti privilegi discriminanti a favore di alcuni e a discapito degli altri, le pretese di superiorità di un gruppo nei confronti dell'altro, il vanto di appartenere ad un rango o ad una provenienza "rispettabile" che suscita contese, gelosie e discriminazioni, sono state purtroppo sempre una piaga anche nella vita ecclesiale.

Chi è veterano all'interno di un movimento o di un gruppo pretende di insegnare ai nuovi arrivati e di avere ragione su di loro; coloro che fanno parte del ceppo originario del gruppo sembrano a volte vantare diritti di superiorità su quanti accedono da altri luoghi o da altre dimensioni. Non di rado parecchi pretendono di emergere sugli altri solamente perché radicati nel gruppo da tantissimi anni o da sempre impegnati in determinati ruoli.

E' la realtà che riguarda l'Istituzione di Cristo quanto alla sua composizione umana, e se consideriamo la Prima Lettura di oggi notiamo che anche ai tempi dei primi cristiani essa non era affatto diversa.

La questione che ci si poneva, e per la quale il libro degli Atti descrive il primo Concilio della storia della Chiesa, era la seguente: nei primi anni del cristianesimo, non essendovi ancora prescrizioni, usi e costumanze propriamente cristiane, ci si atteneva ancora alle prescrizioni della legge di Mosè. Chi si convertiva al cristianesimo, pur riconoscendo in Gesù Cristo il Figlio di Dio e il Salvatore e abbandonando di fatto le precedenti convinzioni, era tenuto ad osservare tradizioni, consuetudini, usi liturgici e prescrizioni puntuali del giudaismo, non ultima fra queste la circoncisione. Del resto, tutti coloro che andavano approdando alla Chiesa di Cristo erano nella stragrande maggioranza di provenienza giudaica e non potevano non accogliere di fatto siffatte disposizioni.

Ora avveniva che Paolo e Barnaba avevano predicato il Vangelo a popolazioni pagane, di estrazione del tutto differente da quella ebraica, e avevano ivi ottenuto la conversione di tanti nuovi fratelli. Erano anch'essi obbligati a seguire le norme della Legge di Mosè? Anche loro dovevano farsi circoncidere? Si, per i cristiani di provenienza giudaica, no per i fratelli di matrice pagana, sostenuti da Paolo e Barnaba. Paolo, per vocazione evangelizzatore delle popolazioni pagane, nonostante fosse di provenienza giudaica sosteneva che "né la circoncisione conta più nulla, né la non circoncisione, ma l'essere creature nuove e l'appartenere a Cristo vivendo nella carità reciproca (Gal 5, 6). Perché dover vessare i neofiti di provenienza pagana con usi e consuetudini giudaiche alle quali non erano mai stati educati? Perché scoraggiare la serenità della loro convivenza nel gruppo dei cristiani con norme e prescrizioni avulse e vuote che del resto (come si spiegherà in seguito) non hanno più valore neppure nel mondo giudaico stesso?.

Cristo infatti è universalmente percepibile, qualunque cultura o forma mentis è bene accetta a lui purché nella fede lo si accetti come il Figlio di Dio e Salvatore e non vi sono limitazioni o restrizione per nessuno, anzi, la chiesa è chiamata in ragione della sua missione universale ad aprirsi a tutti i parametri culturali e di mentalità e di usanza adeguandosi anche alle dimensioni di ciascun popolo. La Chiesa deve essere "cattolica" cioè universale, in grado di estendersi verso tutti i popoli e di accogliere la varietà dei doni, dei carismi, delle mentalità e delle culture come un fatto dello Spirito Santo.

Di conseguenza interviene il vero fautore della concordia e della riconciliazione: lo Spirito Santo. Questi decide nelle deliberazioni del collegio apostolico di Gerusalemme che i pagani non debbano essere messi in crisi con imposizioni di norme a loro estranee: saranno liberi di non aderirvi con la sola eccezione da guardarsi dalle idolatrie di origine pagana. Lo Spirito Santo si esprime tutt'oggi quanto al rispetto delle etnie, dei popoli, delle tradizioni di vario genere e della legittimità che il Vangelo venga ad esse annunciato non senza il criterio dell'inculturazione, cioè dell'accoglienza e della stima delle varie culture e mentalità.

La cattolicità della Chiesa vuole che vi siano adeguamenti specifici alle varie usanze locali, considerando i vari luoghi e le varie dimensioni culturali senza che si faccia violenza alla formazione di nessuno. Ecco perché esistono, all'interno del corpo ecclesiale, molteplici usanze che variano di nazione in nazione, quali il rito bizantino, quello copto, quello greco o armeno accanto al nostro rito latino con i dovuti adeguamenti normativi in ragione della modalità di vita dei singoli popoli. Ecco perché si concedono, debitamente valutate e approvate dal Vaticano, eccezioni o differimenti su determinate norme ecclesiastiche quali la concessione straordinaria del matrimonio ai preti di cultura greca e orientale o differenti condizioni nella ricezione dei sacramenti (battesimo e cresima). Non dappertutto è possibile imporre le medesime costumanze, ma dappertutto è doveroso rispettare e valorizzare costumi e usi del posto.

L'unica condizione che si chiede a tutti è solamente l'accoglienza incondizionata del Cristo e del suo vangelo di salvezza senza porre limiti e restrizioni ad esso ed essere pronti ad accogliere la rivelazione come dono incondizionato derivante dall'amore di Dio. E a fare in modo che tutti si accolga universalmente il Cristo è lo Spirito Santo, dono che il Padre nel Figlio rivolge a tutti i credenti di qualsiasi cultura, etnia e provenienza perché possano essere condotti alla verità e in essa persistere.

A ragione Gesù chiama questo Spirito Santo lo Spirito Consolatore in grado di insegnare ogni cosa e ricordare quanto egli stesso aveva detto, definendolo "Spirito di verità" che conduce alla conoscenza del vero avendo come obiettivo la formazione del soggetto in vista del rinnovamento della società umana per la realizzazione della giustizia e del bene di tutti. Lo Spirito che reca la pace "non come la dà il mondo" ma fondata sui diritti, sull'uguaglianza e sul bene comune nonché sui giusti criteri di convivenza umana e cristiana che sono possibili solo se si applica il buonsenso e la considerazione delle necessità altrui alla pari delle nostre. E soprattutto sulla costruzione interiore della persona nell'ottica della volontà di Dio che si realizza nella sequela attenta del suo Verbo Gesù Cristo.

Sempre obiettivo conseguito dallo Spirito Santo è in tutto questo la promozione della concordia e dell'unità nonostante la diversità, perché evitando ogni sincretismo e ogni confusione si giunga alla pienezza della comunione nella diversità, sempre nel valore della verità che lo stesso Signore ci fa raggiungere.

 

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