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TESTO Gesù, il nuovo Israele, vince le tentazioni avverse al piano di Dio

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I domenica di Quaresima (Anno C) (17/02/2013)

Vangelo: Mt 4,1-11 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 4,1-11

1Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:

Non di solo pane vivrà l’uomo,

ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:

Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo

ed essi ti porteranno sulle loro mani

perché il tuo piede non inciampi in una pietra».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:

Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:

Il Signore, Dio tuo, adorerai:

a lui solo renderai culto».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

All'inizio della Quaresima la liturgia propone alla nostra meditazione l'episodio in cui Gesù viene tentato nel deserto. Sorgono spontanei alcuni interrogativi. Come mai Gesù è stato tentato? In quanto Figlio di Dio non doveva compiere la sua missione senza esitazioni o dubbi? Qual è la storicità di tale episodio?

Cominciamo dalla terza domanda. Il brano non va letto come un resoconto cronachistico, ma neppure come finzione letteraria. Alla base c'è sicuramente una realtà storica: la permanenza di Gesù nel deserto e il fatto delle tentazioni.

Nella tradizione biblica il deserto rappresentava il luogo della preparazione a una missione divina. Così era stato per Mosè, che vi sperimentò la rivelazione di Jahvè (Esodo 3,1 e ss), così per Elia, che vi ascoltò la parola divina (1° Re 19,18) e così fu per Gesù, che rimase nella solitudine del deserto per quaranta giorni, prima di iniziare il suo ministero pubblico.

Quanto alle tentazioni, possiamo essere certi che Gesù abbia fatto questa esperienza, perché è Lui stesso che dice ai suoi discepoli: "Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove" (Luca 22,28).

Dunque Gesù è stato effettivamente "messo alla prova", tentato.

Come? Non nel modo narrato da Matteo, che sintetizza tali esperienze dando loro la forma di un drammatico scontro diretto tra Gesù e Satana, su un fondale paesaggistico (il deserto, la città santa, i regni del mondo) di indubbia efficacia, ma nel corso di tutta la sua esistenza terrena, in varie circostanze.

Nel contesto della Scrittura la "prova" è la situazione di difficoltà in cui si trova il credente, quando i valori che lo guidano vengono sottoposti ad una pressione, sono messi in crisi ed egli deve appunto "dare prova" di sé, operare delle scelte che rivelino la sua fedeltà o meno ai valori minacciati.

La prova può avere un esito positivo, come nel caso di Abramo che proprio "nella tentazione fu trovato fedele" (1° Macc.2,52) e per questo è nostro padre nella fede, o negativo, come fu per Israele che invece nel deserto non resse alla "prova", mormorò contro Mosè e Aronne lamentandosi per la mancanza di cibo (cfr. Esodo 16), tentò Dio a Massa (=prova) e Meriba (=contestazione) e spesso si lasciò trascinare ad adorare divinità straniere (cfr. Deut. 32,15-18).

Ora anche Gesù, il Figlio di Dio, proprio perché realmente ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana (cfr. Ebrei 4,15), non si è sottratto a questa esperienza che mette in gioco la libertà e durante il suo ministero si è trovato più volte a dover operare delle scelte, in cui "dar prova" della sua fedeltà o meno al piano di Dio.

Le tre tentazioni che Satana gli pone nel deserto sono in sostanza riconducibili a una: seguire la via di un messianismo terreno, fatto di gesti spettacolari e imperniato sulla conquista del potere e del consenso popolare.

Questo sarebbe stato effettivamente possibile al Figlio di Dio e questo del resto si aspettava il popolo ebraico, sulla scorta di certe interpretazioni delle Scritture: la ripetizione dei miracoli dell'esodo, la comparsa del Messia sul tetto del tempio e un dominio di Israele sui popoli che avrebbe offuscato persino lo splendore del regno di Davide.

Perciò le parole di Satana nel deserto sono così formulate: per dimostrare di essere davvero il Figlio di Dio, Gesù dovrebbe ripetere il miracolo della manna trasformando le pietre in pani, dovrebbe apparire nel tempio come il liberatore finale e aderire al messianismo politico, facendo di Israele un popolo vincitore.

Storicamente Gesù ha incontrato queste tentazioni quando, ad esempio, farisei e sadducei, "per metterlo alla prova", gli chiedono di mostrare loro un segno dal cielo, quando Pietro tenta di distoglierlo dalla via della croce (Matteo 16), e infine - forma estrema di questa sfida - quando le autorità giudaiche lo scherniscono invitandolo a scendere dalla croce per provare che egli è veramente il "re di Israele" e il "Figlio di Dio" (Matteo 27,43).

Le risposte di Gesù, a Satana nel racconto del deserto e ai suoi interlocutori nella realtà, sono nette e perentorie. Egli respinge come "diabolica" (perché, nel senso etimologico, "separa da Dio") ogni proposta dettata dal desiderio di successo, prestigio e potenza, e riafferma la sua scelta di una radicale fedeltà a Dio.

Gesù è Messia secondo la via del servizio e della dedizione incondizionata di sé; è il nuovo Israele, che nel deserto, al contrario del popolo ebreo, riesce vincitore sulle tentazioni; è il nuovo Adamo, perché nella comunione con Lui ogni uomo, a differenza del vecchio Adamo, può trovare la forza di affrontare e vincere la prova.

 

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