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TESTO La presentazione di Luca

don Fulvio Bertellini

VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (15/02/2004)

Vangelo: Lc 6,17.20-26 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 6,17.20-26

In quel tempo, Gesù, 17disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone,

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,

perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,

perché sarete saziati.

Beati voi, che ora piangete,

perché riderete.

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

24Ma guai a voi, ricchi,

perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

25Guai a voi, che ora siete sazi,

perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore e piangerete.

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

Ci confrontiamo a partire da questa domenica con il discorso programmatico di Gesù, generalmente chiamato "Discorso della montagna", perché l'evangelista Matteo lo ambienta appunto su un monte; Luca invece lo colloca in un luogo pianeggiante, dove Gesù discende dopo aver scelto i Dodici. E' bene ricordare al proposito che spesso nei Vangeli l'ordine degli episodi e la loro ambientazione non rispondono ad un criterio cronologico o cronachistico, ma ad un criterio letterario e catechistico: Luca ha un particolare interesse a collegare in questo modo la chiamata dei Dodici e un discorso particolarmente solenne di Gesù, in cui risalta tutta la novità del suo messaggio. La presentazione di Matteo ha invece un altro scopo e un altro punto di vista, e di fatto è la più considerata, negli studi, nella catechesi, nella predicazione.

Gli interlocutori privilegiati

Abbiamo quindi l'occasione per riscoprire queste parole fondamentali di Gesù dal punto di vista dell'evangelista Luca, che ci apre prospettive diverse da quelle matteane. Una prima caratterizzazione di Luca è l'individuazione di interlocutori privilegiati: anche se pronunciato di fronte ad una moltitudine di gente, il discorso si rivolge principalmente ai discepoli. Luca lo nota accuratamente: "Alzati gli occhi verso i suoi discepoli..."; e inoltre tutte le beatitudini sono alla seconda persona plurale, marcando fortemente l'identità del destinatario. Non che la moltitudine proveniente "dalla Giudea, da Gerusalemme, e dal litorale di Tiro e Sidone" sia esclusa: nella visione di Luca-Atti tutte le nazioni sono destinate a ricevere l'annuncio della Parola che salva, attraverso l'opera degli apostoli e dei discepoli di Cristo. Chiunque ascolta queste parole di Gesù è invitato a farsi discepolo.

Beati voi - Guai a voi

L'altra caratteristica fondamentale dell'apertura del discorso programmatico in Luca è l'aggiunta di una serie di "guai" alle beatitudini, con uno studiato parallelismo. Ci interessa in particolare modo la conclusione delle due strofe: "Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti" e "Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti". Gesù parla a persone che hanno un ruolo profetico, e che sono invitate a tener fede all'autenticità della loro identità profetica. Come già si faceva notare, destinatari sembrano essere i discepoli, o le moltitudini chiamate ad essere discepole. Ora, agli stessi destinatari Gesù dice: "Beati voi... guai a voi". L'ascolto istintivo di questo brano fa pensare ad una sorta di divisione in categorie: beati i poveri da una parte - beati i ricchi dall'altra. La domanda che sorge nella coscienza dell'ascoltatore è dunque se egli sta dalla parte degli uni o degli altri. La lettura attenta mostra che non c'è necessariemente un cambio di destinatario. A me discepolo il Signore dice: "Beato te, povero - Guai a te, ricco".

Segno di contraddizione

Si può ipotizzare che questa forma delle Beatitudini risenta della particolare situazione della comunità lucana: una comunità ormai postapostolica, di cristiani della seconda o terza generazione. Una comunità che rischiava di esaurire la spinta forte dei primi discepoli, e che si trovava a fare i conti con i tempi lunghi e le fatiche della storia. Una situazione insomma molto simile alla nostra, in cui il richiamo di Luca all'autenticità e alla radicalità risulta salutare: questa Parola, come una spada, opera un taglio nella nostra coscienza, personale e comunitaria, costringendoci a verificare che cosa in noi è povertà e che cosa in noi è ricchezza, autosufficienza, autogratificazione.

Beati voi che ora avete fame... guai a voi che ora siete sazi

L'espressione "aver fame" ricorre nell'episodio delle tentazioni. Il lettore di Luca sa già che l'uomo "non vive di solo pane", e che Gesù rifiuta di essere saziato a prezzo della sua fedeltà al Padre e al suo disegno di amore. E' quindi una parola che può riferirsi sia a chi è affamato in senso materiale, sia a chi è affamato di qualcosa di più del pane. L'espressione "essere sazio" ricorre invece nell'episodio della moltiplicazione dei pani. Il che ci conduce ancora ad un'interpretazione complessiva di questa fame e di questa sazietà. Gesù non dimentica il bisogno fisico dell'uomo, ma gli dona qualcosa di più. La sua stessa parola, la sua stessa persona, come pane di vita.Questa beatitudine dunque, con il "guai" corrispondente, ci costringe a riesaminare la nostra vita, in una maniera sorprendente. Ciò che noi consideriamo povertà, indigenza, bisogno, debolezza, potrebbe essere proprio quello che viene accolto e complimentato da Gesù: "Beati voi che ora avete fame...": perché lì potremo essere saziati da lui, Pane di vita. Quello che invece ci rende fieri e orgogliosi, le nostre sicurezze, il nostro benessere materiale, che assicuriamo per noi stessi e per i nostri familiari, potrebbe essere motivo di compianto e delusione da parte della Parola: "Disgraziato te, che ora sei sazio, pasciuto del tuo benessere, tranquillo nelle tue sicurezze... verrà il momento che anche tu avrai fame...".

Rifare unità

Se ci lasciamo interrogare in profondità da questa parola, non possiamo fare a meno di ricercare unità nella nostra vita: "Non potete servire a due padroni" dice Gesù in un altro passo. Non possiamo accettare che la nostra esistenza di discepoli sia segnata dal compromesso tra povertà, fiducia, desiderio di seguirlo, e ricchezza, autosufficienza, e ricerca del consenso mondano.


Flash sulla I lettura

"Maledetto l'uomo che confida nell'uomo...": il contesto del capitolo 17 è la denuncia della gravità del peccato del popolo: un peccato "scritto nelle tavole del cuore", che segna in maniera irreparabile l'esistenza del popolo. Alla denuncia del peccato fa seguito una serie di sentenze di carattere sapienziale, apparentemente non molto coordinate. In realtà, nel loro stile aforistico e allusivo, i detti che compongono la prima lettura di questa domenica spiegano le radici profonde del peccato del popolo

"che pone nella carne il suo sostegno, e dal Signore allontana il suo cuore": abbonda qui il vocabolario della fiducia. Chi non confida in Dio e cerca altri aiuti, dal punto di vista del profeta, è destinato al fallimento. Al tempo del profeta le sue parole avevano anche risvolti politici, perché mettevano in discussione tutto un complesso sistema di sottili giochi politici e alleanze internazionali. Ma proprio da questo sistema di alleanze deriverà in ultima analisi la sciagura di Israele.

"quando viene il bene non lo vede": il dramma del popolo è la sua incapacità di vedere il bene, di cogliere la presenza effettiva di Dio nella storia. Ma non è possibile senza la fede.

"Benedetto l'uomo che confida nel Signore": il termine ebraico che sta per "confidare" esprime l'idea di trovare "appoggio", sostegno, di poter far conto su qualcosa di solido.Il profeta denuncia il fatto che le sicurezze umane (ricchezze, appoggio politico, alleanze conle potenze straniere...) prendono il posto della fiducia in Dio. Le certezze tangibili, misurabili, seducono più della nuda fede.

"e il Signore è sua fiducia": ciò che si propone è una relazione personale autentica tra l'uomo e Dio, nella linea tipica della predicazione profetica. Nel salmo 1, che è proposto come salmo responsoriale, il tema della fiducia è sostituito dal tema dell'osservanza della Legge, secondo una linea tipica della spiritualità postesilica. La fiducia in Dio è mediata dalla pratica dei comandamenti.

Flash sulla II lettura

"Come possono alcuni tra voi dire che non esiste risurrezione dei morti?": la negazione della risurrezione da parte di una frangia o di tutta la comunità dei Corinzi è un fatto strano, spiegato in diversi modi. Sembra più probabile che si trattasse di una forma di spiritualismo: la salvezza cristiana era interpretata come una spiritualizzazione, un estraniarsi dalla prigione del corpo. Per cui l'idea della risurrezione risultava superflua.

"se Cristo non è risorto è vana la vostra fede...": Paolo reagisce facendo comprendere l'originalità del messaggio e del fatto cristiano. Non si tratta di bearsi in un vago spiritualismo, ma di credere e affidarsi pienamente alla fede nel Risorto. "Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti": dopo l'argomentazione per assurdo, Paolo ritorna al dato fondamentale della fede. Provocando anche noi oggi: abbiamo ancora fede nella risurrezione? E la esprimiamo nelle nostre liturgie funebri, e nel modo di accostarci alla morte?

 

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