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TESTO C'è qualcuno più forte di noi

don Alberto Brignoli  

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II Domenica di Avvento (Anno B) (04/12/2011)

Vangelo: Mc 1,1-8 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 1,1-8

1Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio.

2Come sta scritto nel profeta Isaia:

Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero:

egli preparerà la tua via.

3Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri,

4vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. 5Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. 6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. 7E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».

Non è facile riconoscere e accettare che, nella vita, ci sono persone che sanno fare le cose meglio di noi, che sono più preparate di noi, che sono più "forti" di noi. Questo lo avvertiamo maggiormente quando abbiamo una personalità molto egocentrica, con un "io" marcato, anche con un certo narcisismo che ci viene da una forte autostima, per cui accettare che ci sia gente migliore di noi ci fa rodere dentro, e parecchio. Anche se non siamo particolarmente egocentrici e magari abbiamo una scarsa considerazione di noi stessi, proviamo quantomeno un senso d'invidia, o un desiderio di emulazione nel voler essere un po' più forti di quello che siamo, guardando a chi più di noi ha una personalità spiccata e decisa. Insomma, chi è "più forte di noi" non ci lascia indifferenti, specie se vi lavoriamo o viviamo a stretto contatto per più ore al giorno.

Desiderare di essere migliori di ciò che siamo non solo non è sbagliato, ma è anche legittimo e pure oserei dire doveroso, se ci aiuta a progredire in umanità. Ma quando ci vogliamo sostituire agli altri, pensando degli altri che sono capaci di nulla (o per lo meno che non lo sono quanto noi); quando sfruttiamo la nostra grande o piccola notorietà per metterci al centro dell'attenzione; quando cerchiamo di fare in modo che gli altri parlino spesso di noi, e possibilmente sempre molto bene, allora forse è arrivato il momento di cambiare atteggiamento, di cambiare mentalità, di fare una "inversione di rotta", o - come ci dice il Vangelo di oggi - di "convertirci".

Perché, pensando al battesimo di conversione per il perdono dei peccati mi è venuto da pensare direttamente a quest'atteggiamento dell'egocentrismo e della superbia? Forse perché si tratta del peccato delle origini, il peccato degli inizi e l'inizio di tutti i peccati; forse perché la vicinanza alla Solennità dell'Immacolata, nella Liturgia della Parola che ascolteremo, pure ci richiama quell'evento. O forse perché oggi questo richiamo alla conversione, al "farci da parte" per mettere al centro Dio nella nostra vita, non è solamente dato da un insieme di parole, da una voce che grida nel deserto, ma assume il volto, le sembianze, la vita di un testimone che ha fatto spazio a Dio nella sua vita; al punto da scegliere, in maniera decisa e senza tentennamenti, di rinunciare a una vita di gloria, di successo e di notorietà, per dare spazio, voce e tempo a uno più forte di lui.

Giovanni aveva un gran seguito di discepoli, e non perché fosse un soggetto originale nel panorama d'Israele di quel tempo. Il periodo storico in cui Giovanni appare a predicare nel deserto della Giudea è un periodo di forte spinta messianica, ovvero di predicatori che - in nome del compimento delle promesse di Dio al suo popolo - si ergevano a possibili leader, cercando di radunare attorno a sé un numero considerevole di discepoli che potesse costituire la base di un movimento messianico, spesso ricco anche di implicazioni politiche volte a rovesciare il potere di Roma divenuto ormai insostenibile e insopportabile. Giovanni, dunque, non era l'unico predicatore dell'epoca nella regione di Giudea: se quindi accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme, vuol dire che qualcosa di particolare l'aveva.

Certo, agli occhi dei più attenti non passava inosservata la sua somiglianza con Elia, e ciò rendeva il pensiero su di lui interessante e intrigante, dal momento che ogni israelita sapeva che il ritorno del Messia sarebbe stato preceduto dal ritorno sulla terra del profeta di Galaad (come ricorda esplicitamente il profeta Malachia). Ma ciò che colpisce di più rispetto agli altri predicatori messianici è certamente il contenuto del suo annuncio. Le prime parole di Giovanni secondo il Vangelo di Marco non sono rivolte ad annunciare se stesso o il proprio programma spirituale o politico, ma hanno il tono solenne di preparare l'arrivo di qualcuno di più importante di lui. Giovanni lo afferma per ben tre volte: "Viene...colui che è più forte di me; io non sono degno di chinarmi per slegar il legaccio dei suoi sandali...egli vi battezzerà in Spirito Santo".

Questo è un annuncio decisamente nuovo: ed è proprio questo, paradossalmente, che fa la fortuna della predicazione di Giovanni. Chi cercava fama annunciando se stesso non è ascoltato, a scapito di chi accetta di farsi da parte e di annunciare qualcuno più grande di lui, sul quale crea aspettative, desideri, anse, attese... tutte cose tipiche di questo tempo di Avvento. Ma cose tipiche anche di chi ha capito il senso dell'essere discepoli e testimoni: annunciare la salvezza e la misericordia di Dio, attirare a sé il maggior numero di persone, e poi farsi da parte perché esse possano incontrare lui, consolazione del suo popolo, come ci ricorda Isaia nella prima lettura.

E guardate che quest'atteggiamento, tra coloro che si dicono discepoli e testimoni del Signore, non è poi così scontato come sembra. Quell'egocentrismo e quel narcisismo di cui parlavamo all'inizio e che ci portano spesso a voler essere messi in primo piano sono molto presenti anche nella testimonianza di fede, nella vita di noi cristiani, soprattutto di noi che abbiamo consacrato la nostra vita a Dio.

Quante volte ci gloriamo di aver ottenuto grandi risultati in un'attività pastorale per via delle nostre capacità; quante volte attribuiamo a noi stessi l'incontro con Dio di persone che erano lontane da lui e che con la nostra testimonianza si sono riavvicinate alla fede; quante volte facciamo coincidere la crescita del Regno di Dio con il buon esito delle iniziative da noi ideate... tutti questi atteggiamenti sono in evidente contrasto con quella conversione del cuore a cui Giovanni ci chiama e di cui lui è stato in prima persona testimone. Avrebbe potuto benissimo sfruttare la propria popolarità e i propri evidenti contrasti con la classe politica di quel tempo per costruire intorno a sé onore e potere: e invece "regala", "consegna" al cugino Messia non solo la centralità della scena e della popolarità, ma addirittura i suoi discepoli, certamente conquistati e formati con fatica.

A questo sa giungere l'animo di chi ha capito di non essere "come Dio", così come il serpente ha voluto fare credere all'uomo e alla donna nel giardino dell'Eden.

E se quel giorno in un giardino rigoglioso l'avversario di Dio riuscì nel suo intento, oggi il suo testimone fedele nell'aridità di un deserto prova con tutta la forza dello Spirito di Elia a fare andare in controtendenza l'umanità.

È un cammino appena iniziato, che mette in discussione anche l'orgoglio di ognuno di noi: la sfida continua.

 

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