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TESTO Pagare le tasse? Sì, ma siano eque e per il bene comune

mons. Roberto Brunelli

XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/10/2011)

Vangelo: Mt 22,15-21 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 15i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandò loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». 21Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

"Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio": poche frasi più di questa hanno suscitato riflessioni e controversie, dentro e fuori la Chiesa; in particolare, dal suo significato e dalla sua accettazione sono dipesi i travagliati rapporti degli ultimi venti secoli tra l'autorità politica e quella religiosa. Il breve spazio di questa rubrica non consente certo di affrontare il problema nella sua complessità; ma è d'obbligo almeno qualche chiarimento sul contesto in cui la frase è stata pronunciata.

La riporta il vangelo di oggi (Matteo 22,15-21). In varie occasioni i nemici di Gesù gli hanno posto domande insidiose, per cercare di coglierlo in fallo e trovare così motivi per screditarlo di fronte alla gente e talora, come nel caso presente, per accusarlo davanti alle autorità. Un giorno, dopo falsi complimenti ("Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità...") gli hanno chiesto: "Di' a noi il tuo parere: è lecito o no, pagare il tributo a Cesare?" L'insidia derivava dall'odio profondo che gli ebrei nutrivano per gli occupanti Romani e per il loro capo, Cesare, cioè l'imperatore; quell'odio che li portava a disprezzare come peccatori i pubblicani, i loro stessi compatrioti che riscuotevano le tasse per conto degli occupanti. Alla domanda se fosse lecito o no pagare le tasse a Roma, nel caso Gesù avesse risposto di no lo avrebbero accusato proprio presso i Romani di essere loro nemico e ribelle; nel caso avesse risposto di sì, avrebbero avuto buon gioco nel denunciarlo davanti a tutti come traditore del suo stesso popolo.

La domanda era ben congegnata: comunque avesse risposto, per Gesù sarebbero stati guai. Non avevano previsto, i suoi nemici, che egli avrebbe sollevato la questione a un livello più alto. Egli, "Conoscendo la loro malizia, rispose: 'Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo'. Gli presentarono un denaro, ed egli domandò loro: 'Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?' Gli risposero: 'Di Cesare'. Allora disse loro: 'Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio'".

Da notare: essi non hanno parlato di Dio; la domanda è tutta terrena, volta a stabilire chi egli riconoscesse quale legittima autorità politica; richiamando l'autorità di Dio, Gesù ha inquadrato il problema in un contesto ben più complesso. Senza entrare nelle specifiche controversie politiche, che lascia alle dinamiche umane risolvere (non si pronuncia sul conflitto con gli occupanti), egli riconosce che, essendosi gli uomini organizzati in una società, del suo bene devono farsi carico, contribuendo secondo giustizia al retto ordinamento della civica convivenza. Tradotto per noi, pagare le tasse è un dovere, nel contempo adoperandosi, tramite l'esercizio consapevole dei diritti politici di cui ogni cittadino gode, perché siano eque e destinate davvero al bene comune. Richiamando però l'autorità di Dio, Gesù non solo l'ha distinta da quella terrena: ha stabilito una gerarchia d'importanza tra le due. Ovviamente per lui, come dev'essere per i suoi fedeli, la più importante è quella di Dio, sicché sin quando le due sono compatibili vanno rispettate entrambe, ma in caso di incompatibilità i cristiani non hanno dubbi su quale far prevalere. Anche quando dovesse costare: i cristiani dei primi secoli, che si voleva costringere a riconoscere la divinità dell'imperatore, per non farlo hanno preferito il martirio, così come non si contano lungo i secoli i soprusi inferti ai credenti da tiranni che pretendevano di essere più importanti di Dio.

Oggi in troppi luoghi succede ancora, ma non dovunque; per fortuna, a quanti ritengono certe leggi dello stato inconciliabili con il vangelo, i regimi democratici riconoscono il diritto all'obiezione di coscienza. E' un bel segno di civile maturità.

 

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