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TESTO Vedere quello che si ama; esser visti da Chi ci ama

padre Gian Franco Scarpitta  

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (23/10/2011)

Vangelo: Mt 22,34-40 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, 34i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36«Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». 37Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38Questo è il grande e primo comandamento. 39Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. 40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Non si ama ciò che non si vede. Tutto quello che deve diventare oggetto della nostra attenzione e del nostro amore va innanzitutto visto, valutato e soppesato e soprattutto occorre convincersi intorno a chi o cosa dobbiamo amare ed apprezzare. L'amore è una scelta vocazionale. Quando poi si tratti di amare Dio, la necessità diventa ancora più impellente e inderogabile, perché occorre interrogarsi su come vedere Dio per amarlo: come vedere, conoscere e convincersi di Lui ai fini di poterlo amare?

Fortunatamente non occorrono eccessivi sforzi mentali per ottenere una risposta esaustiva e soddisfacente, perché la rivelazione ha già risolto il quesito nella parola di Giovanni: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" 1Gv 4, 40, perché se la presenza di Dio la si può riscontrare in tutti i luoghi, essa si rende ancora più evidente nel fratello che ci sta accanto, il quale costituisce, nella sua persona, il luogo dell'incontro concreto e immediato con il Signore, la possibilità incontrovertibile ed evidente di poter amare Dio. Con Dio si può comunicare in tanti modi e attraverso varie procedure inerenti il carattere dell'intimità individuale e della vita mistica e orante, ma la maggiore espressione del nostro rapporto con lui, la certezza di poter instaurare con lui un'amicizia certa e qualificante anche per noi stessi, ci è data dalla carità sincera, operosa e disinvolta. Carità che è indice di amore ricevuto e condiviso e che non conosce limitazioni, per la quale il prossimo è un altro me stesso e che fonda anche la condizione della nostra identità cristiana. La carità è la disposizione a riconoscere nel fratello non semplicemente colui verso il quale usare compassione e sentimenti di bontà filantropica, ma lo stesso Signore che da sempre realizza una comunione amichevole con noi, che ci chiama alla comunione con sè e che tende ad incontrarci. Nel fratello l'incontro con Dio è certamente garantito perché dovunque vi sia la carità esercitata come virtù teologale la comunicazione si realizza. Dio è nel fratello da amare e questo è sufficiente per scorgere la sua presenza e amare Colui che non vediamo con occhi fisici.

Nel fratello si ama Dio infatti vedendolo nella fede, disposizione libera di innalzamento con cui il cuore si concede alla verità nell'accoglienza del Dono.

La fede è condizione essenziale per cui possiamo esercitare concretamente la carità e anzi la carità medesima è a fede in atto, allo stato dinamico e non inerte, nella dimensione di concretezza e non di astrattismo. La carità che non voglia essere mera filantropia scaturisce da una fede provata e consolidata che abilita all'amore per il semplice fatto che ci rende edotti che Dio è Amore

Dire che Dio provi amore per qualcuno o si muova a compassione (sebbene metaforicamente attestato più volte dalla Bibbia) non è del tutto esatto e non coglie nel segno: la rivelazione ci dimostra infatti che Dio è Amore in sé medesimo, attività infinita di donazione reciproca fra le sue Persone che mutuamente si amano dall'eternità, Padre e Figlio che realizzano l'amore reciproco che è lo Spirito. Se Dio è amore deve avere un oggetto da amare anche al fuori di sé e infatti dall'Amore di Dio prende corpo tutta la creazione e sempre per Amore il cosmo e l'uomo vengono sostenuti dalla Provvidenza. Ma Dio Amore dimostra la sua onnipotenza espressiva soprattutto nella redenzione e nel continuo dialogo con l'umanità, la cui massima espressione è l'immolazione del suo unico Figlio: è in Cristo che Dio realizza la massima espressione dell'amore nei nostri confronti, mentre la croce è lo strumento di supplizio sul quale l'amore diventa estremo.

Siamo di conseguenza in grado di concepire da noi stessi che Dio ci ha amati per primo, che siamo preziosi al suo cospetto e che nonostante il nostro peccato e le nostre nefandezze siamo sempre resi oggetto della sua misericordia redentiva. Nella fede scopriamo che la pazienza e l'amore di Dio sono incommensurabili con la nostra ostinazione al peccato, che l'Amore vince l'odio umano e le sue debolezze e che sovrasta ogni nostro peccato, smentendo la logica assurda dell'umano. La fede, anch'essa oltretutto dono che ci deriva dal solo Amore di Dio ineguagliabile e unico, ci educa alla certezza di essere stati noi stessi oggetto di amore e di predilezione in quanto uomini e che il nostro peccato non è ostativo a che Dio sia Amore. Anzi, Dio ama l'uomo appunto perché è peccatore nella misura in cui Egli è Amore.

Se Dio supera tutte le debolezze umane, Egli prende le distanze dalle meschinità delle discriminazioni e delle fazioni che propina la nostra cultura e prescinde anche dalle vanità di interesse con cui siamo soliti instaurare i nostri rapporti. In ragione di tutto questo, siamo indotti a vivere la stessa esperienza dell'Amore, poiché la fede ci rende consapevoli che essere amati non è finalizzato a se stesso ma va condiviso con coloro Dio ha sempreguardato con grande predilezione: i fratelli, spedialmente i più reietti e bisognosi.

Il libro dell'Esodo (I Lettura) attesta così che l'accoglienza concreta del forestiero e il rispetto del forestiero e dell'orfano sono atteggiamenti allusivi all'accoglienza che dobbiamo nei riguardi di Dio e che l'amore verso i nemici è prerogativa indispensabile per amare Colui che ci ha amati per primo; la carità operosa e spontanea nei confronti di chi ha bisogno convince davvero gli altri della nostra consapevolezza che Dio è nel fratello povero e abbandonato e che l'Amore privilegia i poveri e vuole in essi essere riconosciuto e servito da parte nostra.

Essere stati oggetto di amore e di benefici è di imput perché ne siamo latori agli altri; concepire nella fede di aver ricevuto l'amore da Dio diventa per noi slancio per l'amore incondizionato al prossimo, nella certezza che nel fratello vediamo con gli occhi della fede Colui che non possiamo vedere con occhi fisici.

L'amore è pertanto la pienezza della Legge, il fondamento della prassi di vita cristiana e fonda la nostra appartenenza a Dio, imponendo il Comandamento inciso nell'animo umano di amare Dio con tutte le nostre risorse e le facoltà personali attraverso l'amore del prossimo che va a sua volta concepito come "un altro me stesso"; esso si trasforma da semplice monito divino in una Persona concreta che è il Figlio di Dio Gesù Cristo, che nell'amore ha percorso la nostra storia.

Certamente l'esercizio della carità che procede da Dio non è facile e non di rado comporta un erosimo e un sacrificio che molto spesso è ben liungi dall'essere ricompensato. L'amore non esula dalla prudenza, dalla circospezione, dall'attenzione alle astuzie che il maligno ci muove nella persona di chi ci avversa e da coloro che ci perseguitano, ma non dovremmo arrenderci così come non si è arreso il Figlio di Dio che ha realizzato la Legge dell'Amore nel patibolo dell'umanità.

 

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