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TESTO Commento su Luca 9,18-24

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XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (20/06/2010)

Vangelo: Lc 9,18-24 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,18-24

18Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». 19Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». 21Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno.

22«Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

23Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. 24Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà.

Come tutti i messaggi controcorrente, penso che anche l'Evangelo di questa XII domenica del tempo ordinario non sia facilmente assimilabile. Anzi, ad alcuni potrebbe dare addirittura un senso di acuto fastidio. Non ci permetteremmo mai, certo, di contestarlo. L'Evangelo non si contesta, si cita. Si porta a giustificazione delle proprie scelte. Lo fanno anche i cosiddetti "laici devoti". Allora lo si traduce in una logica mondana, e così non può più dare fastidio. Diventa più ... digeribile.

Eppure questo Evangelo un po' di fastidio lo dà. Non certo nei primi versetti che leggiamo. «Le folle, chi dicono che io sia?» ... «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio» (Lc 9,18-19). Pietro non ha esitazioni. Non perché, da buon primo della classe, abbia imparato bene la lezione. È il cuore, un cuore innamorato, che gli fa rispondere così. Tu sei il Cristo. Tu sei l'Unto di Dio, il figlio del Padre di tutti. E neppure noi avremmo molte esitazioni...

Il problema viene subito dopo. Viene quando Gesù traccia in poche parole la carta di identità del cristiano. «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà...». Sì, qui le cose si complicano. Che Dio è quello che ci impone di prendere, giorno dopo giorno, la croce? Di "perdere la vita"? Che religione è quella che ci impone di fare il lutto di ogni tentazione trionfalistica? Non è forse una religione di morte, proposta a noi che amiamo così visceralmente la vita? Non è un dolorismo inutile dal quale ci siamo finalmente affrancati? Non occorre allora contestualizzare il discorso di Gesù? Sì, dice bene... ma...

Gesù non disprezza la vita. La ama. La ama a tal punto da essere additato a vista dal fariseismo imperante (allora come oggi, s'intende) come colui che ama la compagnia dei mangioni e dei beoni e che addirittura frequenta le prostitute. Se ama davvero la sofferenza e la croce, allora viva una vita ascetica... e non ci venga a dire di vestirci con gli abiti migliori e di profumarci i capelli quando digiuniamo. Che almeno si veda che noi soffriamo, a sua imitazione...

Il messaggio di Gesù è molto più serio, soprattutto molto più impegnativo. Gesù non è un fanatico. Sa che il fanatismo non fa' che portare acqua alle divisioni, e guai alla storia umana, impedendole di progredire. Gesù è un uomo. L'uomo è colui che è uscito dalla minorità ed ha acquisito le due doti fondamentali dell'esistenza umana: l'autonomia e la responsabilità. Si è decentrato dal proprio "io", quell'io che il filosofo Blaise Pascal definiva "odioso". L'io non è da disprezzare, è il luogo in cui si esprime la coscienza. Ma l'io può diventare ipertrofico, ed entriamo allora nel campo della patologia. Abbiamo quotidianamente molti esempi di persone che posseggono un io esagerato, ossessivo. L'io di Gesù non è certo ipertrofico. Quando si carica della croce, non lo fa spinto dal disprezzo per la vita, o per una sorta di fanatismo autoreferenziale. Si carica della croce degli altri. La nostra croce sono gli altri, si chiamino essi moglie, marito, figli, amici, i poveri che incontriamo sulla nostra strada. Rinunciare a noi stessi è la nostra croce. Perché non esiste una salvezza individuale. O ci si salva assieme o si perisce tutti assieme, è questa la legge della storia.

Ma non è questa la logica mondana. Essa ci dice che prima dobbiamo pensare a noi stessi, alla nostra famiglia, ai nostri figli, alla nostra salute, ai nostri soldi, al nostro lavoro, alla nostra felicità, al nostro Nord, alla nostra razza, alla nostra Chiesa. E così non ci scandalizzeremo più - al massimo proveremo un po' di fastidio - per chi muore affamato e disidratato, per chi è senza lavoro, per le leggi sui respingimenti. Oggi il peccato più grande è l'incapacità di indignazione.

Paolo ci aiuta, in poche battute a riflettere su tutto questo: Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. Se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa (Galati, 3,26-29).

Ma raggiungere questa unità ontologica descritta da Paolo è molto difficile oggi, in un tempo segnato da divisioni profonde e da continue ricostruzioni di muri abbattuti. Per questo l'Evangelo ci chiede sempre di schierarci. Esso non ama i faticosi equilibrismi. Poche volte però è così esplicito come oggi. Volete essere cristiani?, dice Gesù. Caricatevi in spalla la croce e camminate dietro a me. Prendetevi sulle spalle quelle famiglie che a metà mese sono già costrette ad indebitarsi per mangiare. Prendetevi sulle spalle quei disgraziati che hanno attraversato il mare per poter trovare da noi un rifugio e un pezzo di pane e che noi invece respingiamo. Accoglieteli. Ma è contro la legge... Non importa: voi obiettate contro le leggi ingiuste. Prendetevi sulle spalle quelle donne nigeriane o dell'Est europeo attratte in Italia per fame e mandate a "lavorare" sulle strade per soddisfare gli appetiti viziosi anche di coloro che consentono di approvare le leggi sui respingimenti. Siate uomini e donne con la schiena diritta. Non cedete alle lusinghe di coloro che, dimostrando rispetto e attenzione per le autorità ecclesiastiche creano con esse un rapporto collusivo. Essere-per-gli-altri è esattamente il contrario cell'essere-per-sé-stessi. E non temete se vi accuseranno di essere "cattocomunisti". Lo hanno fatto anche con me. Il discepolo non è più grande del maestro. Questo ci dice Gesù, oggi, tradotto in linguaggio attuale.

Scrive mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi e testimone vivente di quell'evento straordinario che fu il Concilio: «Credo che dovremmo essere più attenti alla verità reale del messaggio cristiano, per non finire in un "cattoleghismo" che, come il "cattofascismo", proprio per la chiusura e quindi l'egoismo delle motivazioni di fondo, si mostra ben più lontano dal cristianesimo del cattocomunismo. Perché questo almeno partiva, come Gesù, dall'attenzione al prossimo, mentre gli altri due "catto" partono dalla chiusura su di sé. O, se vogliamo rivendicare il nostro cattolicesimo, non dovremmo tutti rifarci più chiaramente al Vangelo, rispettandoci vicendevolmente nella carità, che fa crescere tutti e ci rende, solo quella, veri discepoli di Gesù, veri cattolici?» (Adista-Segni Nuovi n. 45, 26 maggio 2010).

Sì, questa mi sembra la strada. Potremo così accogliere la benedizione del Signore: «Riverserò sopra la casa di Davide e sopra gli abitanti di Gerusalemme uno spirito di grazia e di consolazione» (Zc 12,10).

TRACCIA PER LA REVISIONE DI VITA

1) Che cosa significa per me "perdere la vita" per gli altri?

2) In famiglia propongo il progetto dell'essere per gli altri oppure dell'essere per sé stessi?

3) Che cosa mi propongo concretamente di fare per "prendere la croce" e seguire Gesù?

Commento a cura di Anna e Luigi Ghia

 

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