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TESTO Conversione e vocazione

padre Gian Franco Scarpitta  

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III Domenica di Quaresima (Anno C) (07/03/2010)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 13,1-9

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Conversione e vocazione. Sembrano due argomenti inconciliabili, ma se si scruta con attenzione i concetti che essi esprimono, ci si accorge che sono in realtà complementari e che si suppongono a vicenda. Convertirsi a Dio, conoscere il suo amore, accogliere la proposta di comunione e di predilezione che sempre ci rivolge, è condiziona primaria per rispondere a qualsiasi chiamata o progetto vocazionale. Il che ci riguarda tutti. Mosè non era il migliore fra gli Israeliti prigionieri in Egitto, almeno quanto a formazione ed erudizione, e se si era rifugiato presso il suocero Ietro dopo aver ucciso un suo nemico, non doveva essere di carattere quieto controllato. Eppure proprio a lui, in una delle tante giornate lavorative di pascolo, il Signore si manifesta. Gli si mostra con la prerogativa del fuoco, che pur ardendo un roveto non lo consuma: fuoco della presenza di Dio che purifica, rafforza e rinsalda e in questo caso convince. Mosè capisce che nel fuoco c'è il Signore, che la terra che sta calpestando è sacra e pertanto questo Dio è manifestazione di assoluta signoria e padronanza sugli uomini e sugli eventi storici, ma si convince un po' per volta che il Signore lo sta prediligendo per una missione, che proprio lui è oggetto di attenzione e di amore da parte di Dio e che Questi prescindendo dalle sue qualità personali e dalla sua attendibilità annche morale, lo vuole missionario di un mandato importante presso il Faraone di Egitto. Dio certo non manda nessuno senza prima infondergli coraggio e soprattutto senza prima equipaggiare alla missione, pertanto la stessa presenza del fuoco e il dialogo filiale con Mosè nella parole "Io sono" costituiscono il previo intervento divino sulla persona dell'eletto, che si sente avvinto dall'amore di Dio che purifica, rinnova e predispone. Insomma Mosè si sente amato da Dio e di conseguenza inviato. Come potrebbe però questo giovane profeta accogliere la chiamata del Signore senza convertirsi a lui? Senza cioè riconoscere l'amore di Dio nei suoi confronti che fra l'altro incute anche sicurezza e prontezza missionaria? Egli oppone infatti certamente qualche resistenza in forza della presunta inadeguatezza della sua parola d, ma poi si lancia. Si avvia insomma per sentieri sconosciti per i quali qualcun altro lo sta conducendo.

I connotati con cui Dio si qualifica "Io sono" rispondono alla vera essenza di Dio e giustificano che egli è Ineffabile, talmente che non gli si può dare neppure un nome. In altri passi della Bibbia Dio dirà: "Io sono il Signore", ma sempre pera affermare la sua grandezza e la sua superiorità, tuttavia non si tratta di un'ineffabilità e gloria racchiusa in se stessa, ma condivisa con l'uomo: l'"Io sono" è il Dio di indiscussa maestà che si pone a servizio dell'uomo, che manifesta la sua forza orientativamente al bene degli Israeliti schiavi in Egitto che adesso tende a liberare per mezzo di Mosè; l'Io sono che si mostra Altro nei riguardi di questo pastorello prossimo profeta, ma che nella sua alterità mostra amore e interesse per il suo eletto, sorvolando sui suoi peccati, prescindendo dalle sue defezioni e soprattutto infondendogli coraggio, fiducia e costanza e istruendolo con pazienza su quello che dovrà dire e fare.

Scrive Ratzinger: "La fede ha il suo posto nell'atto di conversione, nella svolta dell'essere, che passa dall'adorazione del visibile e del fattibile al fiducioso abbandono all'invisibile", spiegandosi questa espressione con la necessità che la fede vuole innanzitutto la conversione a Dio per un affidamento fiducioso e dimesso. La conversione conduce alla fede non nel senso del "credo", ma nel significato profondo di "credo e confido; anzi mi affido.." Affidarsi a piene mani all'Io sono che pur restando l'irraggiungibile ci raggiunge fino in fondo è un'attitudine risolutiva soprattutto per chi da Dio viene eletto per un particolare ministero o per un incarico missionario. La vocazione è infatti un fatto di chiamata divina che interpella il nostro credere e il nostro affidarci. Ciò tuttavia non solamente nelle occasioni straordinarie di chiamata o a proposito di ministeri e incarichi particolarmente impegnativi: ogni occasione del vissuto è una risposta alla chiamata di Dio perché giorno per giorno siamo condotti in ogni cosa a scoprire la sua presenza portando a termine un particolare suo disegno momentaneo e la chiave di volta per vincere paure e titubanze è appunto la fiducia e l'affidamento che porta a lanciarsi nella timidezza e ad adoperarsi nell'azione per vincere la paura e l'apprensione. Dio chiama, esorta, elegge in tutte le dimensioni della vita noi percepiamo innanzitutto che Lui si fida di noi e la motivazione di tale fiducia previa è nient'altro che l'amore. La conversione è il luogo primitivo della vocazione di Dio che elegge e invia semplicemente perché ama.

Ed eccoci al significato profondo del tempo forte che abbiamo appena iniziato: si tratta dell'itinerario di scoperta dell'amore con cui siamo stati resi oggetto di predilezione e di impegno assiduo nell'aderire alla proposta di Dio

Il bello di questo processo che ci viene chiesto è la pazienza di Dio, rappresentata dalla metafora evangelica di cui al brano di oggi: è paradossale che una pianta di fichi sia sterile e infruttuosa. In agronomia il fico è uno di quei pochi alberi che, crescendo spontaneamente, fruttifica senza bisogno di intervento umano. Questa immagine vuole pertanto rappresentare l'apatia, l'inerzia e l'aridità dell'uomo, che pur disponendo di tutti i mezzi per poter progredire in se stesso e recare frutto a terzi resta precluso ad ogni aspettativa di donazione agli altri e per ciò stesso refrattario alla chiamata divina di conversione. Alla pari di questo fico sterile, molte volte anche l'uomo meriterebbe di essere annientato quale ramo secco e infruttuoso, eppure Dio non manca di alimentare nei nostri riguardi pazienza e attesa mostrando estrema fiducia che l'uomo si decida per lui, offrendo tutti gli accorgimenti necessari perché la nostra adesione sia possibile e attuabile, intervenendo egli medesimo con la premura e le attenzioni di un contadino su una sua piantagione, nonostante l'evidenza della sua sterilità.

Il Signore ci aspetta, noi procediamo pure con calma, tuttavia procediamo! Lasciamoci cioè riconciliare con Dio per tornare a lui e per rispondere ad ogni nostra vocazione, per percorrere i sentieri di vita che lui stesso ha impostato per noi.

 

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