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TESTO Commento Luca 13,1-9

don Daniele Muraro  

III Domenica di Quaresima (Anno C) (11/03/2007)

Vangelo: Lc 13,1-9 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. 2Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? 3No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

6Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Il commento segue lo schema predisposto dall'autore per ogni anno liturgico, che potete trovare cliccando qui.

A Gesù nel Vangelo di oggi qualcuno si presenta a riferire di un fatto di cronaca recente: si tratta di un fatto di sangue. Non è cronaca nera, perché si sa da subito il responsabile: Pilato, il governatore romano, aveva fatto assassinare alcuni Galilei mentre erano intenti a pregare nel tempio. Più precisamente, questi conterranei di Gesù, perché anche lui era Galileo, di Nazaret, al momento di offrire i loro animali sgozzati nel tempio di Gerusaleme, erano stati assaliti dalle guardie romane ed trucidati lì sul posto insieme alle bestie. Si era trattato di una strage che non aveva mancato di impressionare i fedeli ebrei, e in particolare i Galilei, perché era stata compiuta all'interno del recinto sacro del tempio e da parte dell'autorità romana, che così aveva voluto dare un segnale di avvertimento contro sommosse e rivolte nazionalistiche.

Nel recinto del tempio di Gerusalemme non poteva entrare nessun pagano, ed essere stati spettatori di un avvenimento così cruento per un ebreo del tempo voleva dire che non ci si poteva sentire sicuri da nessuna parte, e ciò valeva tanto più Gesù che proveniva dalla Galilea e aveva avversari potenti.

Gesù reagisce con compostezza a questa segnalazione e chiarisce che il pericolo sovrasta tutti quanti: egli non vede nemici dappertutto, che sarebbe il sintomo di una malattia, di mania di persecuzione, ma fa un esortazione: quello è il momento opportuno per convertirsi, aspettare potrebbe voler dire perdere un'occasione preziosa e rischiare la stessa sorte.

Infatti a Gesù non interessa schivare i pericoli e trovare un accomodamento, Egli intende indicare la via della salvezza. Le incertezze a cui è soggetta l'esistenza umana sono tante: navigare sulla cresta dell'onda è una coincidenza che tante volte lascia il posto alla fatica di remare contro corrente e al rischio di venire coinvolti in tempeste, smarrimenti di rotta e altri incidenti percorso.

Non è solo la crudeltà degli uomini che fa danni, si deve sempre mettere in conto la forza della natura e del clima a cui non si può opporre rimedio e ad un livello più banale può essere l'imperizia o l'inesperienza a mettere nei guai.

E allora, bisogna smettere di agire? No, di certo! Però bisogna essere prudenti.

Da sempre, per superare questi ostacoli e risultare vincitori contro le forze avverse gli uomini si associano. Lo stesso Gesù ad un certo punto del Vangelo dirà che è più facile che un esercito di ventimila uomini prevalga su uno di diecimila che non viceversa. Allo stesso modo contro i cataclismi della natura, quello che non può fare una singola comunità sotto bersaglio può riuscire ad una struttura territoriale più organizzata e in occasione di calamità naturali importanti sorge spontaneo un moto di solidarietà e di assistenza anche da parte di chi abita a centinaia di chilometri di distanza.

Siamo tutti cittadini del mondo e nulla di quello che capita su questo pianeta Terra ci può lasciare indifferenti, oppure se vogliamo dire così, siamo tutti sulla stessa barca e che direzione prenda questa grande imbarcazione che è il mondo è argomento che interessa tutti quanti, sia quelli che stanno davanti a poppa, che quelli che stanno dietro a prua, sia quelli sopra sul ponte, che quelli che stanno sotto sottocoperta e dentro la stiva, sia quelli che si sporgono a destra che a sinistra, cioè a bordo o a babordo.

Al tema della cittadinanza ha dedicato un ambito il Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona. Anche i cristiani sono cittadini del mondo e in particolare i cattolici italiani sono inseriti senza possibilità di smentita nel tessuto sociale della nazione italiana. Si realizza qui il reciproco di quello che abbiamo visto a proposito della tradizione: come è giusto dire che le radici della nostra civiltà europea affondano nel terreno fecondo della cultura classica ed ebraico-cristiana, così non si può tacere che tanti frutti buoni di questa pianta che è la nostra società attuale sono frutti prodotti dai cristiani impegnati nei vari ambiti del sociale e quindi è legittimo che anche ai cristiani cattolici venga dato voce e riconosciuta cittadinanza.

Se pensiamo al mondo del volontariato vediamo coinvolte tante associazioni, impegnate in settori molto diversi fra di loro di assistenza e di cura del disagio, ma che possono essere tutte riunite sotto il titolo comune dell'ispirazione evangelica ed dell'appartenenza o della vicinanza alla Chiesa cattolica.

Ora tutto questo impegno va riconosciuto e deve trovare la giusta rappresentazione anche a livello politico, locale e nazionale. Nel frattempo però i cristiani sono consapevoli che tutti noi non abbiamo quaggiù una stabile dimora e che la nostra patria è nel cielo e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà la nostra realtà terrena per conformarla alla sua realtà glorioso, in virtù del potere che ha di sottomettere a sé tutte le cose. E' san Paolo nella lettera ai Filippesi che parla così.

La realtà attuale del mondo è ambigua e non potrebbe essere altrimenti, in un economia generale sottomessa alle conseguenze del peccato. La Chiesa perciò non si può legare con nessun movimento politico, né può abbracciare nessun progetto di cambiamento della realtà se non sia quello di Gesù Cristo.

Lo ha detto anche papa Benedetto nella sua predica allo stadio: "Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo. Soltanto a partire dalla Risurrezione si comprende la vera natura della Chiesa e della sua testimonianza, che non è qualcosa di staccato dal mistero pasquale, bensì ne è frutto, manifestazione e attuazione da parte di quanti, ricevendo lo Spirito Santo, sono inviati da Cristo a proseguire la sua stessa missione

Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo (Era il titolo del Convegno). Testimoni di Gesù risorto. Quel "di" va capito bene! Vuol dire che il testimone è "di" Gesù risorto, cioè appartiene a Lui, e proprio in quanto tale può rendergli valida testimonianza. E' esattamente il contrario di quello che avviene per l'altra espressione: "speranza del mondo". Qui la preposizione "del" non indica affatto appartenenza, perché Cristo non è del mondo, come pure i cristiani non devono essere del mondo. La speranza, che è Cristo, è nel mondo, è per il mondo, ma lo è proprio perché Cristo è Dio, è "il Santo". Cristo è speranza per il mondo perché è risorto, ed è risorto perché è Dio. Anche i cristiani possono portare al mondo la speranza, perché sono di Cristo e di Dio nella misura in cui muoiono con Lui al peccato e risorgono con Lui alla vita nuova dell'amore, del perdono, del servizio, della non-violenza. Solo se, come Cristo, non sono del mondo, i cristiani possono essere speranza nel mondo e per il mondo."

E' un equilibrio non facile, quello a cui il Papa ci esorta. Ognuno lo potrà mettere in pratica secondo il suo stato di vita e gli impegni familiari e professionali che questo comporta, ma una cosa non deve sfuggire a nessuno di noi stamattina: la condizione per portare frutto buono e abbondante è convertirsi. Convertirsi vuol dire rinunciare al male, e così facendo aumenterà automaticamente lo spazio disponibile per il bene; convertirsi a Dio, allora, è il miglior servizio che possiamo fare agli altri. Il tempo della Quaresima serve anche a questo: rinnovare il nostro stile di vita per rinnovare la società di cui siamo a pieno titolo cittadini.

 

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