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TESTO Se cede un solo sostegno

don Fulvio Bertellini

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (05/11/2006)

Vangelo: Mc 12,28-34 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mc 12,28-34

28Allora si avvicinò a lui uno degli scribi che li aveva uditi discutere e, visto come aveva ben risposto a loro, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; 30amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c’è altro comandamento più grande di questi». 32Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; 33amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

La capriata

Sono stato la settimana scorsa in Albania a sistemare un tetto dell'ex chiesa ed ex asilo delle suore di Fushë Mamurres, che stiamo aiutando con la Caritas di Mantova. Ora col tetto nuovo la costruzione è pronta per essere riadattata e riutilizzata. Banale osservare che senza un tetto anche l'edificio più agghindato ed elegantemente arredato va in malora. Meno facile accorgersi di quante volte nella nostra vita (anche nella nostra vita sociale) dimentichiamo una di queste cose: o il tetto, o le fondamenta. Il tetto che abbiamo ricoperto con nuovi pannelli isolanti era una struttura molto semplice, a capriate. Uno dei più antichi e geniali sistemi di copertura. Una struttura triangolare: una trave di base, due travi che fanno da spioventi. Solida, leggera, inamovibile (o quasi...). E' interessante osseravre che i due comandamenti dell'amore formano una struttura simile, una capriata con tre travi.

L'io nascosto

Non c'è infatti soltanto "Dio" e il "prossimo" come termini del comando: il comandamento è rivolto a un "tu", che diventa poi un "io" chiamato ad osservarli. E il comandamento non si limita a fare appello ad un "io": nello stesso tempo lo definisce. "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore...": cioè ascoltando questo comando io comprendo simultaneamente di avere cuore, mente, forze, prendo coscienza del mio essere, e che tutto il mio essere è chiamato a rivolgersi a Dio. Allo stesso modo il comando "ama il prossimo tuo come te stesso" mi spinge a interrogarmi su quale valore attribuisco al "me stesso". Qui sta l'autentico fondamento dell'uguaglianza: per amare l'altro, devo avere coscienza del mio valore. Gli uomini son tutti uguali - ovvero hanno pari dignità, perché in realtà siamo tutti diversi, unici, preziosamente unici! - gli uomini dunque hanno un pari valore perché sono tutti chiamati ad amarsi come se stessi. Io, Dio, il prossimo: i tre termini sono chiamati a relazionarsi all'interno dell'unico o duplice comando dell'amore, come una capriata, in cui togliere uno solo dei legami risulta fatale, provocando il crollo del tetto.

La rovina

Se tolgo l'io, infatti, resta solo "Dio" e "il prossimo". E facilmente il "prossimo" diventa il mio Dio. Quando mi annullo per amore di Dio o per amore dell'altro, o sono veramente un santo (caso raro) o sono un folle, incapace di sviluppare una relazione alla pari. Se invece scompare il fratello, resto solo io con Dio. Facilmente identifico Dio con il mio io. E' il caso dei folli dittatori, alcuni dittatori militari, altri i dittatori dello spirito: coloro che idolatrano le loro idee e le loro convinzioni. Tra di essi anche preti, suore, cristiani convintissimi delle loro idee. Tanto convinti da non avere più davanti il prossimo, il fratello da amare.

E se togliamo Dio?

Se infine dalla triangolazione togliamo Dio, arriviamo sulle prime ad una conclusione sorprendente: resto io, resta il fratello.... che problema c'è? Una tentazione frequente del mondo moderno è proprio quella di fare a meno di Dio, pensando che tutto possa restare uguale. Il problema però è: se togliamo Dio, chi ne prende il posto? Io o l'altro? (possiamo anche chiederci perché mai qualcuno dovrebbe prenderne il posto. Non c'è spazio per discuterne. A me pare che qualcuno che voglia mettersi sul piedistallo al posto di Dio salta fuori sempre... e che sarebbe ingenuo pensare il contrario). Se togliamo Dio scompare il "prossimo" e il "fratello": resta "l'altro", il "concorrente", colui che mi vuol togliere il primo posto. Se togliamo Dio, prima o poi scompare anche il "bene", e lo vediamo nei drammatici dibattiti che infiammano la scena politica e ideologica: è un bene per la donna abortire? E' un bene per il malato terminale essere ucciso? Perché imporre limiti alla ricerca che può salvare delle vite? Se togliamo Dio, prima o poi scompare anche la creatura umana. Di recente uno scienziato, grande genetista, Dawkins, ha pubblicato un notevole libro divulgativo in cui ripercorre a ritroso il cammino dell'evoluzione. A ritroso, perché tutto secondo lui nasce dal caso. E l'uomo non ha nessun diritto di sentirsi il vertice dell'evoluzione. Può considerarsi alla pari di qualunque animale, uno scimpanzé, un orangutan, un rondone...

La porta del Regno

Lo scriba accoglie la parola di Cristo, il duplice comando dell'amore, che riassume in sé tutta la Legge, che (diremmo noi oggi) riassume in sé il segreto della vita. Gesù vede la sua saggezza e lo elogia (o lo avverte?): "Non sei lontano dal Regno di Dio". Lo elogia perché ha capito. Lo avverte perché non è ancora arrivato. E l'ultimo passo è accorgersi di Cristo: è lui, Verbo fatto carne, il Dio che dobbiamo amare con tutto noi stessi. E' lui, infinito fatto povera creatura, il fratello che dobbiamo amare con tutto noi stessi. Lui ancora oggi è presente nel povero. Solo se lo accogliamo entriamo nel Regno...

Flash sulla I lettura

"Temi il signore tuo Dio": il primo invito riguarda il "timore" di Dio. Forse la prima esperienza umanamente possibile del sacro non può avvenire diversamente: sperimentare una presenza più grande di noi, che supera le nostre forze, che richiede rispetto e ispira in noi sentimenti di profonda umiltà. Il gesto simbolico pressoché universale che esprime il timore di Dio è l'inginocchiarsi, il prostrarsi a terra: con cui, nello stesso tempo, la creatura umana riconose di essere "polvere", ma nello stesso tempo prende coscienza della sua dignità: il Dio di fronte al quale ci si abbassa è lo stesso che ci innalza al di sopra di tutte le altre creature.

"osservando per tutti i giorni della tua vita... tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi": per l'antico Israele però non è importante solo il gesto cultuale, con cui l'uomo manifesta il suo profondo rispetto e la sottomissione al solo Dio: è necessaria l'osservanza della Legge. Tutta la vita deve essere trasformata e ispirata a ciò che piace a Dio. Che peraltro non va a scapito dell'uomo: "... perché tu sia felice e cresciate molto di numero nel paese dove scorre il latte e il miele...".

"Amerai il Signore tuo Dio": ciò che rivoluziona radicalmente il panorama religioso del popolo israelitico rispetto a quello degli altri popoli, è il comando dell'amore di Dio. Paradossale, certo: come si può "comandare" l'amore? Eppure sicuramente essenziale: la legge non può essere "eseguita" per puro dovere, o semplicemente per paura. Deve essere "sentita" dal di dentro, all'interno di un rapporto intimo. Rimane dunque aperta la domanda: chi è in grado di instaurare una vera relazione di amore con Dio? Chi può far passare la creatura umana dal timore all'amore?

Flash sulla II lettura

L'autore della lettera agli Ebrei, identificando in Gesù il vero e perfetto sommo sacerdote, risponde alla domanda implicita nel brano del Deuteronomio, su come è possibile passare dal timore all'amore di Dio, dall'esecuzione materiale della legge, alla sua interiorizzazione profonda e alla sua espressione spontanea nella nostra vita. Gesù possiede un sacerdozio "per sempre", che abbraccia tutti gli uomini; Gesù è l'amore stesso del Padre che viene incontro a noi eliminando la barriera del peccato: e "ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso".

Impariamo a pregare con il salmo

"Egli concede al suo re grandi vittorie/si mostra fedele al suo consacrato": l'ultimo versetto del salmo che viene letto nella liturgia di questa domenica ci offre una chiave importante per la sua comprensione: l'origine di questa preghiera è nella liturgia regale, nelle preghiere ufficiali che il re faceva per ottenere la vittoria e l'aiuto di Dio.

"mia roccia, mia fortezza, mio liberatore...": forse non ci rendiamo conto oggi di come tutte queste espressioni riguardino l'ambito militare, particolarmente quello difensivo: "mia rupe in cui trovo riparo, mio scudo e baluardo, mia potente salvezza". La "liberazione" e la "salvezza" consistono nella vittoria contro i nemici che minacciano la libertà e l'integrità del popolo. Il re parla dunque a nome di tutto il popolo, in un momento in cui la sua stessa esistenza è minacciata da un nemico esterno. In un momento di simile difficoltà, è sorprendente la fiducia che viene manifestata.

Noi non abbiamo nemici da sconfiggere militarmente, né un regno da difendere. Ma siamo invitati a recuperare la consapevolezza della libertà e della responsabilità, che Dio ci ha donato, e in cui consiste quell'incarico di tipo "regale" che ci è stato donato nel Battesimo. E soprattutto pregando questo salmo siamo invitati a riscoprire la fiducia profonda in Dio, di fronte a qualsiasi difficoltà.

 

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