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TESTO La Pasqua di Cristo

padre Raniero Cantalamessa

Venerdì Santo (Passione del Signore) (29/03/2002)

Vangelo: Gv 18,1- 19,42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», 9perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

12Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono 13e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. 14Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. 16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. 17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 40Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

1Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. 3Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

4Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». 5Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

6Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». 7Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

8All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

12Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». 13Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». 16Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Essi presero Gesù 17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, 18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. 19Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». 22Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

23I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice:

Si sono divisi tra loro le mie vesti

e sulla mia tunica hanno gettato la sorte.

E i soldati fecero così.

25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. 33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. 35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

38Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 39Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. 40Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. 42Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Stiamo vivendo un momento liturgico particolarmente intenso e commovente. La liturgia della parola, questa sera, è tutto. Il sacramento tace per lasciare il posto all'evento, cioè alla contemplazione del fatto da cui tutti i sacramenti sono nati.

E' l'unica occasione - insieme con la Domenica delle Palme - in cui viene proclamato nella Chiesa il racconto della passione del Signore. Non possiamo, in tutte e due le occasioni, farlo passare sotto silenzio: finiremmo per emarginare dalla nostra fede il vertice stesso del Vangelo, ciò da cui ogni altra pagina prende senso e valore. Fermiamoci, dunque, un istante per fissare nel nostro spirito alcuni momenti della passione del Signore, ascoltando l'invito che egli stesso ci rivolge dall'alto della Croce: " 0 voi che passate per strada, alzate lo sguardo e vedete se c'è un dolore grande come il mio " (Lam. 1, 12).

E' il mistero pasquale tutto intero che dobbiamo contemplare questa sera. San Paolo formulava cosí tale mistero: " Fratelli... io vi ho trasmesso (a voce) ciò che io stesso avevo ricevuto, cioè che Cristo è morto per i nostri peccati. che è stato messo nel sepolcro e che è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture " (1 Cor. 15, 3-4). E ancora: "Gesù Cristo è stato dato a morte per i nostri peccati; è risorto per la nostra giustificazione " (Rom. 4, 25).

Non è difficile scorgere in questi testi due piani di annuncio:

a) il piano dell'evento, o della storia: Cristo "è morto"; Cristo "è risorto";

b) il piano del mistero, o del significato dei fatti: " per i nostri peccati", " per la nostra giustificazione ".

Soffermiamoci, anzitutto, sugli eventi. Il mistero pasquale di Cristo, prima di essere un mistero, è una realtà della storia. Senza questo piano della storia, il piano del mistero sarebbe sospeso nel vuoto e disancorato; sarebbe teoria o ideologia; sarebbe un sistema di dottrine religiose, come ne esistevano a quel tempo presso i greci e come ne esistono tuttora. Senza la realtà dei fatti accaduti, la nostra fede sarebbe vuota, dice Paolo (1 Cor. 15, 14). La storia, dunque, è essenziale alla nostra fede. Da questa convinzione sono nati i Vangeli. Di qui, quella preoccupazione che si coglie in tutti gli scritti del Nuovo Testamento di raccogliere e fissare la testimonianza apostolica come testimonianza delle cose veramente accadute a Gesù di Nazareth " dal battesimo fino alla sua ascensione " (Atti, 1, 22).

Certo, gli apostoli non avevano bisogno di raccogliere prove che il Maestro era morto. Di questo era al corrente mezzo impero romano. E' tutto quello che mostra di sapere di lui Tacito, verso la fine del secolo: " Condannato al supplizio da Ponzio Pilato ". C'era invece bisogno di testimoniare al mondo che era risorto e questa fu, perciò, la principale preoccupazione degli apostoli, tanto che nell'eleggere uno al posto di Giuda la motivazione fu: " perché divenga con noi testimone della sua risurrezione " (Atti, 1, 21).

Noi non vogliamo rifare qui la dimostrazione storica della verità della risurrezione di Cristo; ciò ci porterebbe a un discorso erudito, alieno dal clima di questa liturgia. Ci basta aver preso atto della testimonianza apostolica che fonda sulla verità degli eventi storici tutto l'annuncio della fede: Cristo è veramente morto; Cristo è veramente risorto.

Di questa certezza avevamo bisogno per addentrarci nella meditazione dei dolori del nostro Redentore, che dovrebbe essere il pensiero ormai dominante per noi. Se Cristo ha veramente patito tutto quello che abbiamo sentito raccontare, se è morto come abbiamo sentito che è morto, allora non possiamo, noi appartenenti a un cristianesimo colto, lasciare solo alle anime semplici, agli indotti, a chi non sa leggere, la meditazione della passione, riservandoci per compiti più elevati. Dobbiamo, invece, come san Francesco d'Assisi, immergerci, calarci dentro questa meditazione, lasciarci " impressionare " dalle stimmate del Salvatore. Noi conosciamo ormai del dolore tutte le varietà; ma questo dolore è diverso. E' il dolore di un Dio; è un dolore libero, accettato, voluto: " Offrendosi liberamente alla sua passione... ". Nessun dolore da noi conosciuto è cosí: cioè tutto e solo dolore, senza traccia di necessità.

Vorrei invitarvi a fissare due momenti di questa passione: l'agonia nel Getsemani e la flagellazione: il culmine della passione dell'anima e il culmine della passione del corpo.

Chi ha vissuto un momento di angoscia, di paura, di abbandono, un momento in cui il mondo sembrava tirarsi indietro per lasciarlo solo nel vuoto e nel buio, costui può forse intravvedere qualcosa. Gesù è là, come dice Isaia, " schiacciato da tutti i nostri dolori e da tutte le nostre colpe, colpito da Dio e umiliato ". E' un vinto. Ma noi non capiremo mai di che sapore fu l'amarezza e l'angoscia di Gesù nel Getsemani; per saperlo, dovremmo capire che cos'è il peccato, di cui egli allora si sentí come sommerso: "Dio per noi lo ha fatto peccato" (2 Cor. 5, 21). Sulle sue spalle gravava il peccato, la sofferenza, la miseria del mondo intero, perché egli aveva accettato di essere l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.

Poco dopo, ritroviamo Gesù sotto i colpi dei flagelli. Il suo organismo era ancora intatto, con tutta la capacità dissentire il dolore delle sue carni. Fu, forse, il più atroce tormento; quello, in ogni caso, che conosciamo meglio, perché regolato da prescrizioni rigorose: trentanove colpi presso i giudei, molti di più presso i romani. Ma spesso non c'era bisogno di arrivare a tanti: il condannato crollava o moriva prima. Era una vera carneficina; fa spavento addentrarci in essa solo con il pensiero. E Gesù ci fu sotto con il suo corpo nudo, con le carni ferite e i nervi scoperti.

Forse noi siamo umiliati e delusi di noi stessi, perché non riusciamo più a commuoverci e a piangere al ricordo della passione del nostro Redentore, come invece facevano i santi e come sanno fare ancora tanti nostri fratelli meno disincantati e più semplici di noi. Ma non è forse la cosa che egli vuole di più. Alle donne, sulla via del Calvario, disse: " Non piangete su di me, piangete su voi stesse " (Lc. 23, 28). Piangere su noi stessi. Perché?

A questo punto, abbandoniamo il piano della storia per entrare in quello del mistero: egli è morto " per i nostri peccati", è risorto " per la nostra giustificazione ". A questo livello, l'evento pasquale diventa mistero pasquale; diventa annuncio per me. Si stacca dalle profondità della storia per entrare nell'"oggi" della mia esistenza. Io ero là quel giorno; a me diceva: piangi su di te. Tutti eravamo là; ci manca solo di ricordarlo. E' il " noi " che il profeta Isaia, nella prima lettura di oggi, ha legato per sempre ai fatti, senza che nessuno possa píù sostituirlo con una terza persona, con un " essi " - i Giudei, i Romani - a scarico di ogni responsabilità.

" Erano le nostre colpe che sopportava... il castigo che ci ridona la pace è su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti, eravamo sbandati, come pecore, ognuno perso per la sua strada, jahvè ha fatto ricadere su di lui le colpe di noi tutti... Ed egli taceva " (Is. 53, 4-7). Sono parole che la Chiesa in questi giorni ci ripete spesso, adagio, a brani, perché noi possiamo lasciarle scorrere come olio dentro di noi, prenderne coscienza e interiorizzarle. Per riuscirci giova personalizzare ancora di più il discorso e far emergere a poco a poco dal " noi " I'" io", il " me ". Ce ne dà l'esempio Paolo, che amava nei suoi scritti ripetere: " Mi ha amato e ha dato se stesso per me " (Gal. 2, 20; Ef. 5, 2). Per me! Nel testo dell'epistola ai Corinti, specifica chi è questo " me ": uno che l'ha perseguitato (1 Cor. 15, 9); uno che l'ha odiato. Ma chi non ha la sua storia di miseria da appendere a quel " per me "? Una storia, forse, ben píù pesante e carica di tradimenti di quella di Paolo che agiva per ignoranza. Eppure ha amato anche me e ha dato se stesso anche per me.

Verrebbe spontaneo cadere in ginocchio e dire anche noi: " Signore, che vuoi che io faccia? ". Ma questa sera non dobbiamo permettere che il discorso esca da Cristo per passare a noi e a ciò che dobbiamo fare, per passare cioè dalla fede alle opere, come troppo spesso e troppo frettolosamente facciamo. Abbiamo riascoltato, intatto nella sua verità e nella sua forza, lo stesso annuncio di salvezza che quei primi nostri fratelli udirono dalle labbra degli apostoli, l'indomani della Pasqua. E' l'annuncio della Pasqua di Cristo, di ciò che egli ha fatto per noi " quando eravamo ancora peccatori ". Non sciupiamo subito questi pensieri che il Signore ci ha messi nel cuore. Non scendiamo troppo in fretta dal Calvario; ma stiamo un po' con Maria " presso la Croce di Cristo ". Facciamo del tutto per rimanere, fino al momento della veglia pasquale, dentro quel mondo di dolore sul quale ci siamo affacciati questa sera. Il nostro Redentore è ancora là, nell'orto degli ulivi e ci ripete quelle parole che fece udire un giorno a un grande credente: " lo ti sono più amico che il tale e il talaltro; io ho fatto per te più di essi; essi non soffrirebbero da te quello che io ho sofferto e non morirebbero per te, come lo ho fatto e sarei disposto a fare ancora... Vuoi tu che io continui a versare per te il sangue della mia umanità, senza che tu mi doni neppure una lacrima? " (Pascal).

Padre Raniero Cantalamessa

 

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