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TESTO Sequestrati

don Fulvio Bertellini

XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (26/06/2005)

Vangelo: Mt 10,37-42 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Mt 10,37-42

In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli: 37Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.

40Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».

Il discepolo appartiene a Gesù. Per usare un'immagine forte, potremmo dire che egli è "sequestrato" (l'apostolo Paolo si proclama "prigioniero di Cristo". Se vogliamo esprimerci in termini più dolci, diremo che è un "innamorato". Ma chi scopre la forza dell'amore per Gesù, prima o poi sente con quanta radicalità il suo amore reclama tutto l'essere dell'uomo: si è coinvolti profondamente e integralmente, e nessun ambito della vita può restare estraneo, lasciato in sospeso. Gesù esprime le esigenze del discepolato facendo riferimento alle relazioni familiari: l'amore per il padre, la madre, il figlio, la figlia. Il rapporto con Gesù appartiene a quest'ordine di idee. Ha la stessa intensità (si potrebbe dire la stessa visceralità) del rapporto di sangue.

Famiglia difficile

Va notato quanto suonano diverse le stesse parole, pronunciate in epoche diverse, e in contesti sociali diversi: nella Palestina del tempo di Gesù si aveva la famiglia patriarcale, secondo un modello millenario. I rapporti familiari erano intensissimi, e la persona in un certo senso valeva poco senza l'appartenenza al clan familiare. Andare contro la solidarietà familiare era certamente andare controcorrente. Oggi, in tempo di disgregazione della famiglia (si dice così, ma sarà poi vero? prendiamola per buona...) amare il padre e la madre fino in fondo, amare profondamente i propri figli, è segno sorprendente di fede. Se un tempo la tentazione era di assolutizzare la famiglia, oggi la tentazione è di assolutizzare la nostra esigenza di felicità, che può entrare in contrasto con le esigenze di una famiglia pienamente umana e cristiana: se il matrimonio non funziona, posso divorziare, se mi fa paura, posso convivere, se i figli sono di peso, meglio non farne, se non posso avere figli, ogni mezzo è lecito... non possiamo giudicare le persone, i loro problemi, né condannare le loro scelte. Ma la parola di Gesù ci indica che certe scelte non sono compatibili con la fedeltà a lui. Lui però rimane fedele, e sa trarre il bene da ogni vicenda umana.

L'ombra della croce

Abbiamo citato l'ambito familiare, ma anche nel lavoro, nelle relazioni personali, in altri tipi di scelta di vita scegliere di appartenere a Gesù, essere discepoli innamorati di lui, sicuramente condurrà a scelte impegnative e difficili. "Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me". Ognuno ha la sua croce. Che non è confrontabile o paragonabile a quella altrui. E lo scandalo è identico, sia nella società antica, sia nella società moderna. Chi segue Gesù fino in fondo sarà sempre considerato un folle, uno che rovina la sua vita. Ma "chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà".

Ma ne vale la pena?

La parola di Gesù ci rassicura: chi dona la vita per lui, trova una vita più grande. Trova la vera gioia. Chi pretende di costruire la sua felicità, al contrario, si ritrova con un pugno di mosche. Vogliamo però esplorare un'altra dimensione della fedeltà a Cristo, nella direzione tracciata dalla seconda parte del Vangelo. La fedeltà radicale a Gesù non implica soltanto una piena realizzazione per chi crede in lui, ma ha anche un significato per il mondo, per chi non ha altro segno per avvicinarsi a Dio, del suo volto di Padre, se non la presenza dei cristiani. "Chi accoglie voi, accoglie me": queste parole vanno riferite senz'altro a chi ha "perduto la vita per causa sua". Il discepolo fedele diviene trasparente, segno limpido dell'amore del Padre, punto di riferimento. Chi ha bisogno di una parola, può ricorrere a lui. Chi ha bisogno di gesti di amore trova nel discepolo autentico un sicuro sostegno. La testimonianza non annacquata risplende e fa sì che tutti possano essere rischiarati dalla sua luce.

Anche solo un bicchier d'acqua

Alla comunità cristiana del terzo millennio, in tutto il mondo e anche a Mantova, è dunque chiesto di essere fedele al Vangelo in maniera integrale ed esigente. Non soltanto per sé, ma anche per il mondo. E non per dividere, ma per accogliere. E' sorprendente il contrasto tra la durezza della pretesa di Gesù (perdere la vita per lui) e la dolcezza condiscendente delle parole successive: "anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli". Il discepolo più fedele è sempre anche il più misericordioso, il più conforme all'agire del Padre buono, che ama tutti i suoi figli. Ma perché quel bicchiere di acqua fresca abbia valore, noi siamo chiamati ad essere autentici discepoli, sequesterati da lui, innamorati di lui.

Flash sulla I lettura

La donna di Sunem è una straniera, ma ha compreso che in Eliseo si manifesta in maniera speciale la presenza di Dio. Si tratta di una percezione istintiva, non pienamente consapevole, che forse non arriva alla perfetta precisione teologica. Eppure è sufficiente per far entrare la donna nell'ottica della fede, nell'orizzonte della grazia. Il dono di un figlio non va inteso semplicemente come un "premio" per la buona opera della donna: è invece il riconoscimento che, attraverso la sua sollecitudine per il profeta, essa ha servito il Dio della vita. L'agire di chi accoglie la presenza umile di Dio, nei suoi servi e nei suoi profeti, è un agire fecondo, che accresce la speranza e la vita.

Flash sulla II lettura

Prosegue la lettura continuativa della lettera ai Romani, che non è direttamente legata alle altre letture della domenica, ma crea ugualmente interessanti contrasti e accostamenti. In una domenica in cui la I lettura e il Vangelo manifestano l'universalità della salvezza, per chi fa anche solo un piccolo gesto di accoglienza nei confronti dei discepoli di Cristo, l'epistola richiama l'importanza del battesimo. "Quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù siamo stati battezzati nella sua morte": Paolo parla al plurale, "noi", includendo nella sua riflessione i destinatari della lettera. Si tratta dunque di una riflessione riservata ai credenti, a coloro che hanno esplicitamente e consapevolmente aderito alla fede. "Siamo stati battezzati nella sua morte": in particolare la fede battesimale porta chi lo riceve ad un'adesione piena al mistero pasquale di morte e risurrezione. Attraverso il gesto simbolico, si muore con Gesù e si risorge con lui.

"Consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù": perché tutti possano salvarsi è necessario che alcuni manifestino in pienezza la loro fede in Gesù e la partecipazione al suo mistero di salvezza. Nella loro vita, anche se in forma povera e fragile, si manifesta la potenza della risurrezione. Colui che offre "anche solo un bicchiere di acqua fresca" ha percepito, sia pure confusamente, la potenza misteriosa e la presenza della vita pasquale nel discepolo di Gesù.

 

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