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don Maurizio Prandi

XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (06/11/2016)

Vangelo: Lc 20,27-38 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 20,27-38

In quel tempo, 27si avvicinarono a Gesù alcuni sadducei – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: 28«Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello. 29C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. 30Allora la prese il secondo 31e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. 32Da ultimo morì anche la donna. 33La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». 34Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

Forma breve (Lc 20, 27.34-38):

In quel tempo, disse Gesù ad alcuni8 sadducèi, 27i quali dicono che non c’è risurrezione: 34«I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; 35ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: 36infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. 37Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. 38Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».

La preghiera Colletta suggerita per questa trentaduesima domenica del tempo ordinario credo ci possa aiutare a fare un po' di sintesi rispetto ai temi che oggi attraversano le letture che abbiamo ascoltato: O Dio, Padre della vita e autore della risurrezione, davanti a te anche i morti vivono; fa' che la parola del tuo Figlio, seminata nei nostri cuori, germogli e fruttifichi in ogni opera buona, perché in vita e in morte siamo confermati nella speranza della gloria. I temi che percorrono la liturgia della Parola di questa domenica infatti sono essenzialmente tre: la vita, la morte e la risurrezione; possiamo provare a dire qualcosa ma soltanto, ci dice la preghiera Colletta, a partire dalla Parola di Dio, seminata nei nostri cuori. È un particolare importante e che ci permette di fare unità e sintesi nell'ascolto.

La fede nella resurrezione illumina in modo particolare prima lettura e vangelo, mentre la seconda lettura ci dice che la risurrezione non è tanto questione di un futuro lontano nel tempo ma di un presente nel quale i Tessalonicesi (e noi con loro chiaramente) siamo chiamati a far vivere Dio nel quotidiano, a far vivere Dio nel mondo. Uso qui volutamente le stesse parole che ci hanno accompagnato nella riflessione e nella preghiera il giorno dei Santi e dei Fedeli Defunti in quanto trovo ci sia una grande continuità con quanto celebrato pochi giorni fa e la liturgia di oggi: la vita eterna non è un premio, non è qualcosa che si guadagna, qualcosa che si merita, ma la vita eterna è far vivere Dio, renderlo presente (glorificarlo) nella nostra povera semplice vita.

E il messaggio della seconda lettura credo sia proprio questo: che la parola di Dio si diffonda e possa correre, che sia glorificata, ovvero resa presente continuamente dall'annuncio di Paolo e di chiunque l'abbia a cuore. È bello anche come san Paolo sottolinei che la Parola è sempre per la non violenza: perché la parola corra e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi; il verbo "liberare" quando è presente nella Bibbia, è per indicare la salvezza. Quindi è un pregare non perché il Signore distrugga l'oppressore, ma perché salvi l'oppresso.
Torno al verbo correre che è il verbo della Risurrezione. In questa "corsa" della parola leggiamo la corsa delle donne che tornano dal sepolcro vuoto e poi il correre di Giovanni e Pietro al sepolcro, ma leggiamo anche la corsa della Parola che Maria porta nel grembo quando in fretta si alza per andare dalla cugina Elisabetta, leggiamo la corsa del perdono e della misericordia in quel padre che corre incontro al figlio ancora lontano (è stata richiamata questa parabola durante la preghiera di venerdì n.d.r.). Che bello! La corsa della Parola è una corsa verso, una corsa che ha come sorgente l'amore, l'affetto. È la Parola di Dio che ci ama e non si accontenta di aspettarci ma ci viene incontro di corsa. Permettetemi una piccola parentesi sul senso del momento di preghiera che viviamo il venerdì: anche se molto semplice, anzi, forse proprio perché semplice, sento che è un modo per far correre la Parola: ci fermiamo, stiamo nella Parola di Dio e la facciamo correre dentro di noi. Ci fermiamo, stiamo; ma anche nel vangelo ci sono persone che si fermano di fronte alla parola. Il Samaritano ad esempio: si ferma di fronte alla parola che è il malcapitato e fa correre, e anche tanto, la parola della carità, dell'accoglienza, della pace, della ricchezza della diversità, della cura.

Partire dalla parola di Dio è sempre importante, fondamentale, e i sadducei lo fanno: partono da Mosè, ma in modo becero e strumentale, mossi dal desiderio di mettere in difficoltà Gesù, di polemizzare sulla risurrezione, di ridicolizzarla; ebbene: anche Gesù come loro parte da lì, ma che differenza! I sadducei, chiudono la parola, chiudono Mosè in un raccontino (quasi una barzelletta), chiudono l'amore in un prendere. Prenda la moglie, preso moglie, la prese il secondo, il terzo... di chi sarà? Tutti l'hanno avuta. Per Gesù l'amore è altro, per Gesù l'amore è un sentimento fondamentale (che bello un Dio che parte dai sentimenti); per Gesù l'amore è il roveto, è qualcosa che bruciando non si consuma e che non consuma l'altro. Capite la differenza? C'è chi prende, e muore anche se vive, e c'è chi accoglie, chi dona, chi vive per l'altro.
A metà ottobre, a Santa Margherita, ho celebrato un matrimonio di due venezuelani e ho goduto molto nell'ascoltare la promessa di matrimonio in spagnolo che non ricordavo; non: io ti prendo (vecchia formula) o ti accolgo (nuova formula), ma qualcosa, se mi è concesso, di più ancora: yo me entrego a ti, ossia io mi dono a te, mi consegno a te. Pensavo da un lato alla bellezza della consegna che gli sposi fanno vicendevolmente della propria vita, e dall'altro alla distanza che vivo da questo verbo e dal saperlo coniugare nella mia vita. La forza di questo verbo mi fa venire in mente che qualche hanno fa a proposito di queste letture parlavo del coraggio: il coraggio dei sette fratelli e della loro madre che fanno di Dio il loro assoluto nella prima lettura. Soltanto martedì facevo l'esempio di Enrico, un figlio e un papà; di Consuelo, una figlia e una mamma; oggi ritorno alla memoria di don Francesco Lugano, nativo di Zoagli, che ha scelto senza compromessi di vivere il vangelo di Gesù, e morto in Indonesia oramai dieci anni fa. Una missione la sua, molto silenziosa: hanno tentato di ammazzarlo qualche volta ma lui minimizzava, lui battezzava e annunciava il vangelo. Una volta lo hanno portato nella foresta indonesiana, certi che non ne sarebbe uscito vivo e invece, proprio nel punto in cui è uscito (chi lo aveva rapito ha ottenuto l'effetto contrario perché una volta tornato dalla giungla tutti gli indigeni lo consideravano quasi un Dio!) ha costruito una cappellina a N. S. di Montallegro.

Preghiamo gli uni gli altri allora in questa eucaristia, perché possiamo costruire una chiesa coraggiosa e aperta, che non si metta in ascolto di chi mira a possedere e ad occupare spazi, ma desideri soltanto donarsi, consegnarsi, ardere di quell' amore che non consuma l'altro.

 

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