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TESTO Commento su Is 54, 5-10; Rom 14, 9-13; Lc 18,9-14

don Raffaello Ciccone  

Ultima domenica dopo l'Epifania (Anno B) (15/02/2015)

Vangelo: Is 54, 5-10; Rom 14, 9-13; Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 18,9-14

9Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Isaia 54, 5-10
L'autore anonimo del capitolo 54 (che gli studiosi si sono accordati di chiamare il "Secondo Isaia") intravede già la fine dell'esilio di Babilonia (siamo nel VI a.C) e descrive la nuova Gerusalemme come la città bella e liberata. Vi si legge una profonda gioia ed entusiasmo poiché ormai la nuova Gerusalemme è risorta. La prima immagine è l'apparire di tanti figli che si credevano perduti: "Perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata che i figli della maritata, dice il Signore." (54,1) E il richiamo della grandezza si ritrova con l'immagine bellissima della tenda dei nomadi che deve diventare più spaziosa: "Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio,.. e la tua discendenza possederà le nazioni, popolerà le città un tempo deserte." (54,2-3). Si risentono i grandi, terribili ricordi della schiavitù in Egitto ("Dimenticherai la vergogna della tua giovinezza") e dell'esilio ("e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza" (v4). Si ritrovano le espressioni di un amore grande (la donna sposata in gioventù) che è la sposa scelta e amata nella novità della esperienza amorosa. Amore del Creatore ed amore eterno. Come garanzia, Dio dice e svela i suoi tanti nomi: "Il tuo Creatore, il Signore degli eserciti, il Redentore, Santo di Israele, Dio di tutta la terra, ma soprattutto Sposo" (54,5). Vengono date garanzie, riprese dai grandi avvenimenti della storia del mondo, ritornando fin alle promesse fatte a Noè dopo il diluvio (54,9). Attraverso l'esperienza di Gesù, noi possiamo verificare che l'amore di Dio oltrepassa ogni immaginazione, e il perdono del Signore raggiunge ogni persona che si rivolga a Lui con fiducia. Gesù, per l'amore che porta, "si svuota della sua divinità, assumendo una condizione di servo" (Fil 2,7).
Questa garanzia, che il profeta allinea negli avvenimenti della storia come garanzia illimitata, ha incoraggiato il popolo alla fedeltà dei gesti e delle scelte, ma si è giocata su una reciprocità impossibile: all'essere amati da Dio si è risposto garantendo l'obbedienza della legge da conservare e custodire. Ma l'amore di Dio non vuole l'ossessione della legge ma lo spirito di amore e di misericordia che si allarga verso tutti, con pazienza e con delicatezza. «Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici.
Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt9,13).

Romani 14, 9-13
Paolo, nella conclusione della lettera ai Romani, sta richiamando il significato dell'esistenza: tutto è sottomesso e appartenente a Cristo. Sia la vita che la morte sono al servizio di Cristo e da Lui questa padronanza è stata conquistata con il suo sacrificio (2 Cor 5.14ss; Fil 2,9 ss). La vita cristiana non consiste nel giudicare qualcuno per ciò che fa e per i meriti che ha acquistato, ma nell'impegnarsi nella carità.
Nella Comunità di Paolo sono sorte problematiche per comportamenti alimentari particolari. Ci sono infatti cristiani dalla fede poco illuminata e quindi senza convinzioni abbastanza solide: ritengono che in certi giorni, o magari sempre, si debbano astenere dalle carni o dal vino. Queste pratiche ascetiche sono già note ad alcune correnti filosofiche pagane (i pitagorici) e nel mondo giudaico (gli esseni, Giovanni Battista).
Paolo dice che bisogna agire secondo coscienza per il Signore. Ma tutto questo fa sorgere discussioni, malumori, giudizi e discussioni senza soluzioni. Ci sono delle persone forti che, con molta lucidità e sicurezza, affermano che queste regole vanno superate. Ci sono invece altri che si preoccupano di quello che mangiano e di quello che bevono secondo criteri che deducono dal loro mondo religioso. Solo il Signore giudica e noi non dobbiamo entrare a giudicare, forti delle nostre sicurezze. Dobbiamo invece rispettare e valorizzare le persone, aiutando, magari, via via, a ripensare ed ad approfondire.
In conclusione, nessuno giudichi gli altri e non sia di scandalo o di inciampo. Anzi, se agli occhi dell'altro ci si rende conto che il nostro mangiare o bere qualche cosa viene considerato non corretto, e quindi suscita disagio, per amore dell'altro "astieniti, per non disorientarlo". La carità, allora, sta nel non scandalizzare; e, insieme, vanno trovate strade che rimettano nella ricerca della volontà di Dio.
Si suggerisce, in tal modo, un'attenzione che nasce dalla carità e quindi dalla fede che decide, in libertà, di sostenere la fragilità dell'altro. Seguendo il sacrificio di Gesù, la vita cristiana consiste nel non giudicare, ma nello sviluppare una carità reciproca di attenzione e di accoglienza. Né il debole può giudicare e condannare il forte né la persona forte può disprezzare il debole. Solo Gesù è il giudice supremo. Solo Lui può esaminarci nell'ultimo giudizio e solo Lui è capace di saper analizzare la nostra fede e i nostri errori. L'apostolo sottolinea il principio della sottomissione dell'appartenenza a Cristo. "Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno di noi muore per se stesso; se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore" (14,7). Paolo ricorda che siamo del Signore e che Gesù morì e risuscitò per noi. Ci ha riscattati, ci ha comperato con il suo sangue e questa padronanza, che Egli ha conquistato, ci porta al suo stesso criterio di attenzione e di amore. I drammi, sorti a Parigi in queste ultime settimane per le pagine satiriche di un giornale, hanno provocato tragedie e morti. Papa Francesco ha ricordato che uccidere in nome di Dio è sacrilegio. E tuttavia l'amore e l'attenzione all'altro devono farlo rispettare anche nella sua fragilità, senza offendere i suoi valori (e la religione può essere un grande valore per chi crede) mentre vengono difese, con chiarezza e coraggio, la vita ed i valori della vita. Si giocano in grande la nostra vita e la nostra libertà nel rispettare l'altro. Il Signore desidera, nella comunità cristiana, un clima capace di accoglienza, di fiducia reciproca, di rispetto. E se questo vale nei riguardi della fede, vanno allargate l'attenzione e la responsabilità sulle culture di altri gruppi e di altri popoli.
C'è una grande revisione da fare anche nei nostri criteri di valutazione di civiltà. Come occidentali, abbiamo separato natura e cultura, anima e corpo, umani e animali, coloro che sanno e coloro che credono. Così, per oltre quattro secoli, abbiamo creduto che il nostro mondo, la nostra conoscenza e il nostro modo di vivere fossero superiori agli altri e che tutti, prima o poi, sarebbero diventati come noi. Si sono registrati la spoliazione e il sistematico sterminio delle "culture altre", extraoccidentali o interne ai nostri confini: dagli indigeni alle streghe, dai pogrom contro i migranti agli ebrei dell'Europa nazista, dalla schiavitù coloniale alle civiltà contadine.
Oggi l'egemonia occidentale non persuade più nessuno: nemmeno gli occidentali. C'è voluto più di un secolo per capire che il mondo, che avevamo costruito, non era né il migliore, né il solo possibile. Sono possibili altri mondi? Nel frattempo ci siamo barricati nell'orizzonte soffocante del capitalismo, rassegnati ad accettare molti drammi e troppe sudditanze. Dobbiamo tornare all'idea di inventare "qualcosa di meglio per tutti".
I santi, aiutati da Gesù, ci hanno aperto orizzonti nuovi. Gandhi in India e Mandela in Sudafrica hanno aperto ai loro popoli il cammino della pace, percorrendo, a volte senza saperlo, l'itinerario di Gesù.

Luca. 18, 9-14
Com'è facile disprezzare gli altri e ritenere di essere nella verità e nel giusto! Com'è facile riempirsi di sé e giustificarsi in ogni occasione! Com'è gratificante credere di essere nell'area di pensiero e di religione che detiene la verità!
Che sollievo di coscienza poter dire e mostrare di aver osservato i doveri religiosi e di non aver niente a che fare con gli "altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e "pubblicani", cioè compromessi con il potere dominante, il denaro, l'ingiustizia, i piaceri! Se riflettiamo onestamente, non siamo anche noi pronti a disprezzare gli altri, a diffidarne, ad escluderli dal proprio perimetro, a condannarli? E siamo anche pronti a ridurre una quantità di giustificazioni del nostro comportamento nei confronti, ad esempio, di immigrati, clandestini, zingari, musulmani, drogati, ma anche solo di chi non la pensa come noi.
Soprattutto se ci disturbano nelle nostre sicurezze e nel nostro quieto vivere, senza contare né pensare che siamo tutti solidali nel bene come nel male; e che se il male prospera e dilaga, dipende anche dal bene che non pratichiamo noi. Il Vangelo di questa domenica ci fa ripensare al nostro atteggiamento verso gli altri, i diversi da te.
Certo, in teoria, si fanno tanti bei discorsi sul dialogo, sulla comunicazione, sulla collaborazione; ma in pratica? Ma che rapporto abbiamo verso chi prega nel tuo stesso tempio? o verso chi attraversa la strada, senza che tu glielo consenta? Il povero pubblicano non osa nemmeno alzare gli occhi al cielo e si prostra davanti a Dio in tutta la sua piccolezza e la sua incapacità di essere all'altezza della sua dignità di uomo e di figlio di Dio
L'episodio ci fa riflettere anche su chi è il peccatore: è colui che rifiuta su di sé lo sguardo di Dio che invece è pronto ad accogliere chi non presume su di sé e non giudica gli altri. È colui che in fondo al cuore ha intuito la misericordia di Dio che sa scovare, pure in scelte sbagliate, la possibilità di ripresa e di speranza su un'altra dimensione di vita. Purché, appunto, non ci si schermi con il paravento della presunzione e del vanto, nella consapevolezza di un sé ingigantito e mascherato e nell'ottica dello scarto degli altri per attirare l'attenzione - anche quella di Dio - solo su di sé.

 

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