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TESTO Commento su Matteo 3,1-12

don Michele Cerutti

II domenica T. Avvento (Anno B) (23/11/2014)

Vangelo: Mt 3,1-12 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:

Voce di uno che grida nel deserto:

Preparate la via del Signore,

raddrizzate i suoi sentieri!

4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.

5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Questa domenica d'Avvento ci deve aiutare nel nostro cammino di incontro con il Signore che viene nella nostra storia a interrogarci sul nostro rapporto con Lui. Siamo aiutati dalla ricchezza della Liturgia della Parola.

Ci viene presentato un personaggio particolare quello del Battista. Da Lui impariamo la coerenza di vita, con la semplicità che ci descrive il brano evangelico. Questa sua coerenza lo porta al martirio cruento perché il Battista non fa sconti per nessuno neanche per i potenti del tempo. La sua predicazione è atta a favorire l'arrivo di Gesù: invita tutti ad appianare le strade tortuose e i sentieri irti dei nostri cammini.

Ci chiede una conversione, ovvero un tornare a Dio. Lo dice ai suoi contemporanei che affermano di essere già salvi avendo Abramo come Padre, lo dice a noi cristiani di oggi che abbiamo il pedigree a posto. Sacramenti fatti, messa domenicale, ma poi viviamo come se nulla ci avesse toccato nella vita.

Salvi in forza di una religiosità fatta di prescrizioni tutte rispettate, ma che viviamo come un'etichetta. Il Battista è il personaggio giusto, che scuote le coscienze e ci invita a vivere la nostra fede in maniera intensa e non superficiale.

Domenica scorsa invitavo a muovere i primi passi del nuovo anno liturgico con l'Avvento nella dimensione della penitenza: occorre riscoprire la grandezza di questo Sacramento.

In questa domenica vorrei soffermarmi sulla pratica dell'elemosina, per fare in modo che la nostra fede sia vissuta nella dimensione della concretezza e nell'attenzione a chi è in difficoltà; grazie a questo possiamo compiere quei passi di conversione a cui il Battista ci invita. Infatti, se la penitenza ci riallaccia direttamente con la dimensione verticale, con l'elemosina siamo chiamati a vivere questa relazione nelle relazioni fraterne.

Siccome il senso della parola elemosina è largo, i Padri la considerano come esercizio essenziale della carità cristiana. Con ciò è anche evidente che essa non può essere limitata al solo denaro: l'esercizio della carità per il prossimo si realizza con il lavoro per gli altri. Così i monaci, ancor prima della regola di S. Benedetto, lavorano la terra e il frutto è destinato anche ai più bisognosi. Dunque un'elemosina materiale e spirituale nella quale il fratello era chiamato ad ammonire (in senso positivo) l'altro. San Basilio, che aveva scritto delle regole precise per il vivere comune nei monasteri, considera come dono eccellente al prossimo l'avvertimento e l'aiuto a correggersi di un difetto.

I padri della chiesa facevano un ragionamento molto semplice e dicevano: se è difficile amare Dio proviamo a far del bene al prossimo per andare incontro a Dio. San Massimo il confessore (580-662), ad esempio, scrisse Le centurie della carità in cui dimostra come la Carità sia necessaria alla vita cristiana: "fa' tutto ciò che ti è possibile per amare ogni uomo. Se non ne sei capace, almeno non odiare nessuno [...] un tale lo detesti; quest'altro né l'ami né l'odi; un altro l'ami, ma molto moderatamente; quell'altro ancora, l'ami intensamente [...] Da queste differenze riconosci che sei lontano dalla carità perfetta, la quale si propone di amare con la stessa intensità tutti gli uomini".

Papa Benedetto XVI affermava l'importanza di questa grande pratica di pietà.

"Secondo l'insegnamento evangelico, noi non siamo proprietari bensì amministratori dei beni che possediamo: essi quindi non vanno considerati come esclusiva proprietà, ma come mezzi attraverso i quali il Signore chiama ciascuno di noi a farsi tramite della sua provvidenza verso il prossimo. Come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, i beni materiali rivestono una valenza sociale, secondo il principio della loro destinazione universale (cfr n. 2404).Nel Vangelo è chiaro il monito di Gesù verso chi possiede e utilizza solo per sé le ricchezze terrene. Di fronte alle moltitudini che, carenti di tutto, patiscono la fame, acquistano il tono di un forte rimprovero le parole di san Giovanni: "Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio?" (1 Gv 3,17). Con maggiore eloquenza risuona il richiamo alla condivisione nei Paesi la cui popolazione è composta in maggioranza da cristiani, essendo ancor più grave la loro responsabilità di fronte alle moltitudini che soffrono nell'indigenza e nell'abbandono. Soccorrerle è un dovere di giustizia prima ancora che un atto di carità".

Papa Benedetto avvertiva la necessità di riscoprire le modalità con cui compiere questa pratica.

"Tutto deve essere compiuto a gloria di Dio e non nostra. Questa consapevolezza accompagni, cari fratelli e sorelle, ogni gesto di aiuto al prossimo evitando che si trasformi in un mezzo per porre in evidenza noi stessi. Se nel compiere una buona azione non abbiamo come fine la gloria di Dio e il vero bene dei fratelli, ma miriamo piuttosto ad un ritorno di interesse personale o semplicemente di plauso, ci poniamo fuori dell'ottica evangelica".
Ricordiamoci anche l'altro aspetto:

"L'elemosina evangelica non è semplice filantropia: è piuttosto un'espressione concreta della carità, virtù teologale che esige l'interiore conversione all'amore di Dio e dei fratelli, ad imitazione di Gesù Cristo, il quale morendo in croce donò tutto se stesso per noi".

San Giuseppe Benedetto Cottolengo soleva raccomandare: "Non contate mai le monete che date, perché io dico sempre così: se nel fare l'elemosina la mano sinistra non ha da sapere ciò che fa la destra, anche la destra non ha da sapere ciò che fa essa medesima" (Detti e pensieri, Edilibri, n. 201).

Chiediamo con insistenza un Cuore simile a quello di Cristo, che viene per abitare proprio i nostri cuori, e chiediamogli non solo di aumentare la nostra fede, ma anche la nostra Carità.

 

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