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TESTO Commento su Gen 11,31.32b-12,5b; Eb11,1-2-.8-16b; Lc 9,57-62

don Raffaello Ciccone  

V domenica dopo Pentecoste (Anno A) (13/07/2014)

Vangelo: Gen 11,31.32b–12,5b|Eb11,1-2-.8-16b|Lc 9,57-62 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Lc 9,57-62

57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».

Genesi. 11, 31. 32b - 12, 5b
I primi 11 capitoli della Genesi ci hanno consegnato il profilo della creazione del mondo e dell'umanità. Questa umanità è splendida e padrona del mondo. E però, a sua volta, stenta ad accogliere i progetti del Signore. Anzi, mentre cresce e "si moltiplica", stravolge completamente il proprio crescere e il proprio operare. Così questa umanità, amata profondamente da Dio, si avvia verso l'autodistruzione del diluvio, poiché non accetta che debbano esserci linee e regole di valore. Si salva solo la famiglia di Noè: 8 persone in tutto. E da questi salvati ricomincia un nuovo cammino nel mondo sotto il segno dell'arcobaleno di pace con la garanzia che non ci sarebbe stata più una totale distruzione. L'umanità ricomincia, ma ritorna nei propri limiti e chiusure. A questo punto il progetto di Dio si fa più preciso. Dio sceglie un uomo e un popolo che nascerà da lui. Quest'uomo è Abramo che sarà il nuovo Adamo nel mondo futuro. Egli accoglie la vocazione del Signore per sé e per il mondo. Parte dalla terra del peccato, Ur dei caldei per arrivare dopo molti anni alla terra promessa dove si stabilisce, riceve in dono il figlio Isacco a tarda età, e il figlio sarà la prova vivente della benedizione di Dio.
Uscendo da Ur di Caldea, una zona molto ricca perché 2 fiumi, il Tigri e l'Eufrate, offrono abbondanza di acqua e quindi terreno fertile, Terach, padre di Abramo, decide di mettersi in viaggio con la sua famiglia. Lascia la terra del sud con il figlio Abramo, la nuora Sarai e Lot, il nipote, figlio di un fratello e si incamminano verso Carran, a circa 1000 km a nord. Probabilmente, il clan di Abramo, e quindi degli ebrei, è costituito da nomadi che vivono ai margini delle grandi città. Questi nomadi hanno un diverso destino poiché alcuni gruppi sono riusciti a impadronirsi delle città, altri sono rimasti nomadi e quindi disponibili a spostarsi. Per questo motivo queste persone sono considerate estranee, i "senza patria".
Dopo un certo tempo muore il padre Terach, e si inserisce qui l'invito che il Signore offre ad Abramo. E Abramo, improvvisamente, per un avvenimento radicale (ma non si sa quale), a sua volta, è costretto ad abbandonare la sua terra. La Bibbia ci dà una lettura teologica dei fatti. Abramo vede negli avvenimenti la volontà di Dio, comprendendo, in tal modo, che il Signore lo chiama ad una grande missione ed ha accettato, lasciandosi condurre da Lui. Senza segni premonitori, il Signore entra nella vita di Abramo con un comando preciso: "Vattene dal tuo paese verso il paese che io ti indicherò". Nella rassegnazione di una vita tutta uguale interviene un richiamo nuovo. Può capitare anche a ciascuno di noi, attraverso situazioni particolari: un incontro, il consiglio di un amico vero, una comunicazione interiore. Ad Abramo non viene rivelato fin dal principio dove sarà condotto e, come per ogni persona, deve misurare la sua strada ogni volta.
Ci sono i termini di una promessa che più avanti diventerà "un'alleanza". E la promessa che viene innovata almeno tre volte (15,18; 17,1-8, 22,16-18) e verrà ripetuta ad Isacco (21 26,5) e a Giacobbe (28,14). Ma si tratta sempre e solo di promesse perché, per esempio, solo in tarda età nascerà, il figlio donato da Dio, inizio di una discendenza. Per anni abiteranno la terra di Canaan, ma saranno solo stranieri, con l'unica proprietà di una grotta dove Abramo seppellisce Sara. (Gen 23). Si nota un richiamo alla potenza demografica e al possesso territoriale da una parte; dall'altra vengono ripresi e ricordati elementi spirituali e universalistici: il rapporto di amicizia con Dio e l'essere strumento di benedizione per tutte le stirpi della terra. Il significato di questa benedizione può essere inteso in senso messianico: le stirpi della terra avranno motivo di sentirsi fortunati in grazie al "seme di Abramo". E se non ci viene descritto nulla di ciò che precede, improvvisamente sorge solamente un comando di Dio (quale Dio? Abramo lo scoprirà via via). Il comando ha la stessa forza, gravità e potenza dei tempi della creazione: "Dio disse" (v.1). La Parola di Dio è una novità che sradica, è invito al nuovo, a cercare una terra per ricominciare da capo.
E se vogliamo contare le popolazioni che si riconoscono discendenti di Abramo, dovremmo contare almeno due miliardi di persone che lo ritengono all'inizio della propria religiosità e consapevolezza: Ebrei, Cristiani e Musulmani. Questa scelta e questa ubbidienza resteranno, nella vita di questi popoli, un elemento di esempio, di gloria e di orgoglio.
Ebrei. 11, 1-2. 8-16b
La "Lettera agli ebrei" è stata scritta, con tutta probabilità, alcuni anni dopo la distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d C. E questi ebrei, a cui è diretta la lettera, che pure hanno accettato di credere in Gesù, detti giudeo-cristiani, sono rimasti sconcertati dalla distruzione del popolo ebraico e dalla disperazione dei sopravvissuti. Gerusalemme non è più la splendida città di Dio, nella garanzia concreta del Signore, e perciò non è più la città capace di narrare le promesse della Gloria.
Nasce l'esigenza di ripensare profondamente, non solo ai contenuti della propria fede, ma allo stesso significato del credere. E il cap.11, che iniziamo a leggere, comincia con la definizione della fede: essa è il fondamento della speranza. La fede è orientata al futuro di Dio per noi, ed è, insieme, garanzia e anticipo della gioia eterna definitiva. La fede è orientata agli invisibili, si appoggia alla parola del Signore che ci svela le opere di Dio sul mondo. Essa stessa è testimonianza di Dio poiché Dio non ha avuto testimoni della sua operosità: quando creava il mondo e quando creava l'umanità (11,3). Il capitolo continua proponendo i campioni di questa fede: Abele, Enoc, Noè (11,4-7). Giunge ad Abramo. Egli, per fede, parte per una meta che non conosce, e per fede soggiorna "in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspetta, infatti, la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso". E perché si attuasse la predizione di una discendenza, Abramo e Sarai hanno aspettato molte decine di anni. "Morirono senza aver visto il compimento della promessa" (11,13) Ci sono due piccole garanzie sul futuro che essi non avrebbero visto: c'è la nascita di Isacco e c'è l'unica proprietà, che Abramo si permette di avere nella terra che gli è stata promessa: una grotta che si è comperata a caro prezzo per seppellire Sara (Gen 23,1-20). Una nascita da genitori molto anziani e una grotta con una tomba diventano "pegno e caparra" della promessa. E per noi la fede che cosa sostiene, impegna, vale?
- La fede sostiene in noi uno stile nuovo di vita di figli di Dio.

- Garantisce solidità e stabilità per seguire le scelte che Gesù ha compiuto nella sua vita.

- Nello stesso tempo la fede garantisce chi ci sta vicino e prova valori e presenze che possono aiutare a persuadere. In tal modo essa diventa come una "dimostrazione". In una parola, rassicura in noi la realtà celeste che Gesù ci ha manifestato ed offre, attorno a noi, garanzie di realtà non visibili. L'autore di questa lettera esemplifica, attraverso molti personaggi conosciuti nella Scrittura, lo stile di fede che bisogna sviluppare nel nostro cammino verso Dio. Nel testo della liturgia di oggi ci vengono richiamate la fede di Abramo e la fede di Sarai. Abramo, a 75 anni (Gen 12,4), nell'età in cui si ritiene di essersi conquistato un giusto riposo, parte per una terra sconosciuta (vv8-10). Sarai crede, nonostante tutte le contrarie logiche umane, che avrà un figlio, garanzia ed elemento che permetterà lo sviluppo delle benedizioni che Dio ha dato a questa famiglia. L'autore biblico, però, per mettere in evidenza la profondità della loro fede, ricorda la povertà delle garanzie e dei risultati nella fede di Abramo e di Sarai. Ebbero solo un figlio e non una moltitudine; continuarono a peregrinare sempre, come stranieri, in terre diverse. E tuttavia Abramo continuò a fidarsi fino in fondo, nella sua vita, di Dio e delle sue promesse. Questo vale anche per ogni credente ogni volta che ripensa alla Parola di Gesù. E' morto per la salvezza di tutti. Noi non verifichiamo questa salvezza, spesso scopriamo il male che dilaga e ci sentiamo come sconfitti. Eppure la Parola del Signore è una parola grande, viva, che garantisce il trionfo del bene e la pienezza della misericordia. Certamente, come per Abramo, siamo chiamati a credere, ad operare come se avessimo chiari gli effetti e chiari i risultati. La nostra collaborazione è preziosissima e il Signore ne ha bisogno e tuttavia egli opera con noi, nonostante noi, oltre noi.

Luca. 9, 57-62
Il testo sulla vocazione dei discepoli del cap.9 pone le basi della scelta di Gesù e della sua Comunità nell'impegno del seguirlo. Il testo di oggi ci riporta all'inizio di una scelta fondamentale che Gesù sta facendo. Secondo Luca: "Mentre stavano compiendosi il giorno in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme" e si concluderà con l'ingresso nel tempio (9,51-19,46)). I samaritani di un villaggio attraverso cui Gesù, venendo dalla Galilea doveva passare per andare verso Gerusalemme, si rifiutano di riceverlo. Giovanni e Giacomo, chiamati, non a caso, "i figli del tuono" vorrebbero punirli, facendo scendere un fuoco dal cielo. Gesù li rimprovera per il loro fanatismo, integralismo e la loro incapacità ad essere accoglienti verso tutti, anche con coloro che li rifiutano. Mentre camminano, incontrano molti che vorrebbero seguirlo, ma dovrebbero anche sistemare alcune cose ovvie e ineliminabili: per esempio, dare sepoltura al proprio padre e andare salutare i propri familiari a casa. Gesù insegna che le esigenze del Regno superano tutte le altre esigenze. Del resto il Regno di Dio è vita e Gesù si preoccupa che ci si impegni, si sia attenti alla vita mentre gli uomini si occupano ancora dei morti.
Il testo si inquadra nella linea del cammino, seguendo il maestro, verso Gerusalemme. Credere consiste nel percorrere con Gesù la sua stessa strada o la stessa "via". La parola "via" sarà l'immagine dei cristiani: Paolo perseguita coloro "che sono della via" (Atti 9,2); a Efeso, "poiché alcuni si ostinavano e si rifiutavano di credere, dicendo male in pubblico di questa Via, Paolo si allontanò da loro" (19,9); nella stessa città scoppia un tumulto contro la via (Atti19,23) ecc. Sulla "via" si giocano le scelte.
- Un tale che, con entusiasmo, lo vuole seguire ovunque (9, 57-58), si sente rispondere dal maestro più con la perplessità che lo scoraggia che non con l'entusiasmo dell'accoglienza. Chi vuole seguire Gesù non può sognare una vita comoda, non avrà una dimora fissa ma dormirà sotto le stelle, si dovrà accontentare dell'ospitalità che gli viene data quando trova qualcuno che gliela vuol dare. Non avrà una pietra su cui posare il capo (9,58), finché Gesù posa il suo capo, ma solo sulla croce (Gv19,30). Luca usa in greco lo stesso verbo ( "posare") che Giovanni utilizza per Gesù che muore ( chinato il capo).
- Un altro, che vuole seguire Gesù, dice che però, prima, deve andare a seppellire i genitori. Gesù risponde con una frase che non è solo stupefacente ma anche scandalosa e provocatoria anzi empia se si tratta di un funerale. In Israele il dovere più sacro per un figlio è quello di seppellire i propri genitori e per fare questo è dispensato da qualunque precetto della legge, persino dal precetto del sabato. Il sommo sacerdote, che non può entrare in un cimitero o anche solo avvicinarsi ad un cadavere, è tenuto ad accompagnare al sepolcro i propri genitori. Perciò se questa frase è molto paradossale per la cultura ebraica, non può essere tuttavia accantonata. Potrebbe trattarsi, però anche, di genitori anziani per cui si chiede una dilazione, in attesa della loro morte. Ma si possono intendere "morti" coloro che non hanno trovato le vie del Regno. Perciò è urgente una predicazione per tutti coloro che non sono ancora sulla strada verso il progetto di Dio. Significa che neppure i sentimenti più sacri che legano ai propri genitori devono frapporsi nella decisione di seguire Gesù.
- Una terza persona chiede di seguirlo, ma, prima, deve, almeno, andare a salutare i familiari come, d'altra parte, aveva fatto il profeta Eliseo (1 Re,19,20). D'altra parte Gesù ha impegnato i suoi ad amare e aiutare i genitori (Matteo 15,39). E tuttavia anche in questo testo si tratta di priorità. Perciò il Regno e quindi Gesù vengono al primo posto nelle scelte e valgono di più se bisogna dare delle precedenze. Ci rendiamo conto che Gesù ci fa mettere, in secondo ordine, i propri bisogni di comodità, gli obblighi di pietà e l'impegno di provvedere ai propri cari. Gesù non rifiuta nessuna di queste esigenze, ma la missione che egli propone è molto più urgente poiché è gratuita, è il grande atto d'amore verso l'alto, è il celebrare insieme la gran festa dove ciascuno ha una sua dignità e un suo valore. Sul mettere mano all'aratro c'è il richiamo del profeta Eliseo (ricordato prima). Ma Gesù è molto più esigente e richiede insieme coraggio e prontezza, e ancora fermezza e costanza nella sviluppare il proprio impegno.
Ci ritroviamo oggi a ripensare alla fede robusta di Abramo, la fede che sostiene la speranza e che ci fa disponibili per un mondo di coerenza e di pace, la fede che motiva e sostiene il cammino sulla via, dietro Gesù.
Il Regno di Dio si apre esigente, ma carico di doni: sono le Comunità cristiane che debbono far proprie le possibilità, scoprire le urgenze, comunicarsele in un progetto di presenza e di collaborazione.
Ci sono energie splendide nelle Chiesa, persone generose e attente, eppure manca un coordinamento che intrecci solidarietà, presenza, amicizia, lavoro comune. Spesso nelle Comunità cristiane, pur i8n mezzo a mota generosità, è difficile lavorare insieme tra gruppi ed difficile entrarvi. C'è il rischio della gelosia, l'attesa del "grazie", il timore di non essere all'altezza, insieme con la paura di dover essere aiutati da altri e di essere scavalcati da altri. Così ci si nasconde, ci si isola, non ci si cerca con simpatia. C'è il rischio del criticare, del non essere disposti al ricostruire, del non saper dire grazie a nostra volta, del pretendere di essere tuttofare. Una Comunità cristiana dovrebbe preoccuparsi di sviluppare, tutta insieme, una formazione comune sui temi fondamentali della fede. Conoscersi tra gruppi, prepararsi per confrontarsi, per coordinare, per cogliere il senso del cammino della storia e della Chiesa nella storia, accogliendo stimoli, approfondimento, in libertà e ricerca, in simpatia e povertà di cuore.

 

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