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TESTO L'avete fatto a me!

don Roberto Rossi  

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) - Cristo Re (20/11/2011)

Vangelo: Mt 25,31-46 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

E' la Solennità di "Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo". Come sappiamo, ogni anno siamo invitati a ripercorrere la storia terrena di Gesù: iniziamo dall'Avvento, proseguendo con il Natale, poi -dopo alcune domeniche del "tempo ordinario"- ci inoltriamo nell'itinerario della Quaresima, della Pasqua e ancora del tempo ordinario; infine, prima di ricominciare nuovamente questo ciclo, celebriamo la festa di Cristo Re: è un'occasione privilegiata per guardare a Gesù e per rinnovare la fede in una verità tanto semplice, quanto sconvolgente: questo Gesù che è nato a Betlemme, che ha predicato in Palestina, che è morto ed è risorto a Gerusalemme,... è veramente il Re dell'universo, è veramente colui che regge la storia...

Eppure, se guardiamo al mondo di oggi, alle notizie che riceviamo quotidianamente, forse non ci viene spontaneo pensare che Gesù Cristo è il re della storia. Ma prima di entrare in questo, possiamo farci una domanda: Cosa mi viene in mente quando penso ad un re? Cosa significa, per me, che uno è re?

Vorremmo farci dire da Gesù stesso cosa significa per Lui essere RE, come fa Lui a regnare e a condurre la storia... Per questo meditiamo il vangelo del giudizio finale.

Quando ci troviamo di fronte ad un brano come questo ci viene la tentazione di pensare che sia una anticipazione di ciò che succederà alla fine del mondo; così, pensiamo che si tratti semplicemente di una "soffiata" sulle domande dell'esame finale. in realtà, quello che Gesù dice, pur facendoci pensare alla fine della storia, è un discorso che Lui fa a noi che nella storia ci viviamo, operiamo, siamo chiamati continuamente a cercare di comprendere cosa è bene e cosa è male.

Infatti, se facciamo attenzione al testo ci accorgiamo che entrambi i due gruppi di persone pongono la stessa domanda: «Signore, quando ti abbiamo visto...?». Questa domanda è segno che sia i "giusti" che gli altri hanno agito senza piena coscienza, ma questa ignoranza (nel senso vero del termine: non sapere) non fa modificare il giudizio del Re: in questo particolarissimo interrogatorio ciò che conta sono le azioni, non le intenzioni. Certamente, allora, queste parole ci arrivano prima di tutto come un invito alla concretezza, a passare "dalle parole ai fatti", a fare in modo che il nostro rapporto con il Signore si traduca in scelte concrete, reali...

È interessante notare anche che fra le varie categorie di bisognosi c'è anche quella del carcerato ed è altrettanto interessante vedere che non si parla di "carcerati ingiustamente", o di "perseguitati innocenti", ma si parla genericamente di "carcerati", indipendentemente dal fatto che siano colpevoli o innocenti. Quindi, la bontà dell'altro (o la sua cattiveria) non giustifica le mie azioni, non mi autorizza ad essere buono solo con i "buoni" e a ripagare i "cattivi" (o presunti tali) con la stessa moneta. Inoltre, la presenza dei "carcerati" ci aiuta a demolire alcune illusioni: non è vero che il povero è più buono, ma può anche imbrogliare, essere un delinquente, approfittarsene,... ma Gesù continua a dirci: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me».

Allora, ci accorgiamo che Gesù identifica se stesso sia con il Re che giudica la storia, i popoli, ogni persona, sia -allo stesso tempo- con il povero (affamato, assetato, nudo, straniero, malato e carcerato). Inoltre, Gesù non parla del povero in astratto, ma lo identifica con sei categorie molto concrete: che si riferiscono alla mancanza di caratteristiche fondamentali perché la vita possa essere veramente e pienamente umana: cibo, acqua, vestito, protezione (all'epoca di Gesù, lo straniero era il senza diritti per eccellenza, molto più di oggi!), salute e libertà. Inoltre, soprattutto le ultime due categorie si riferiscono al bisogno primario della relazione con le altre persone: non c'è scritto: "ero malato e siete venuti a curarmi (a guarirmi!)", ma -più semplicemente- si parla di "visite" fatte a chi è ammalato o incarcerato. E questo, è alla portata di tutti!

Questa identificazione di Gesù con ogni uomo che è nel bisogno non è un pensiero pio o un semplice simbolismo, ma una realtà estremamente concreta: Gesù non dice: «è come se l'aveste fatto a me», ma «l'avete fatto a me».

Queste osservazioni ci aiutano ad entrare nel cuore stesso della nostra fede cristiana: Gesù è il Figlio di Dio che è diventato realmente uomo, Colui che giudicherà il mondo è nato da una donna, ha camminato, ha lavorato come carpentiere... E così, dall'incarnazione, ciò che riguarda l'uomo riguarda direttamente anche Dio perché "con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo" (Gaudium et Spes, 22). Ma c'è di più: Gesù si identifica non semplicemente con l'uomo, ma soprattutto con i bisognosi: sceglie gli ultimi proprio perché non resti fuori nessuno!

In ogni persona, allora, è Gesù stesso che mi viene incontro: non importa come sia l'altro (buono o cattivo, simpatico o antipatico,...); ciò che faccio a lui/lei è fatto direttamente a Gesù. Così, ogni uomo mi dà la presenza di Dio: in ogni uomo posso incontrare Dio, accoglierLo, aiutarLo,... S. Vincenzo de' Paoli aveva capito questo molto bene perché in un celebre brano scrive alle sue suore:

Il servizio dei poveri deve essere preferito a tutto. Non ci devono essere ritardi. Se nell'ora dell'orazione avete da portare una medicina o un soccorso a un povero, andatevi tranquillamente. Offrite a Dio la vostra azione, unendovi l'intenzione dell'orazione. Non dovete preoccuparvi e credere di aver mancato, se per il servizio dei poveri avete lasciato l'orazione. Non è lasciare Dio, quando si lascia Dio per Iddio, ossia un'opera di Dio per farne un'altra. Se lasciate l'orazione per assistere un povero, sappiate che far questo è servire Dio. La carità è superiore a tutte le regole, e tutto deve riferirsi ad essa. È una grande signora: bisogna fare ciò che comanda (cfr. ufficio delle Letture del 27/09, memoria di S. Vincenzo de' Paoli)

Dio mi viene incontro, mi si fa vicino, aspetta il mio aiuto. Ecco il paradosso apparente della nostra fede cristiana: Dio, il Creatore, mi tende la mano, mi si fa vicino e, addirittura, non si accontenta di mettersi alla pari con l'uomo, ma si fa lui stesso mendicante, bisognoso dell'aiuto dell'uomo.

Così, per incontrare Dio, ho un posto sicuro dove andare: incontro ad ogni persona, soprattutto a chi più è povero e bisognoso.

 

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