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TESTO E' impossibile ingannare Dio

mons. Antonio Riboldi

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C) (25/10/1998)

Vangelo: Lc 18,9-14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

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In quel tempo, Gesù 9disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: 10«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. 11Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. 12Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. 13Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. 14Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

E' una diffusa abitudine tra noi uomini, decantare quello che 'appariamo', quasi in una gara di meriti e virtù, nella ricerca di apparire il migliore. Ma altro è quello che appariamo ed altro è quello che siamo. Difficile conoscere l'intimità di ciascuno e quindi la verità. Sfugge a ciascuno di noi.

Solo Dio sa quanto veramente valiamo: Lui non guarda alle false apparenze: va diritto alla verità.

E la verità, se ci facciamo 'guardare da Dio, che è la perfezione', è che noi siamo solo una squallida miseria.

Gesù, con la dolcezza che Gli è l'abituale atteggiamento quando si trova di fronte a noi uomini, 'fotografa i nostri atteggiamenti con una delle sue parabole che sono sempre la realtà che Lui coglieva.

"Gesù, racconta il Vangelo, disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di essere giusti e disprezzavano gli altri: "Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo, l'altro era pubblicano". Il fariseo, stando in piedi, pregava tra se così: "O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana, e pago le decime di quanto possiedo". Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore".

Io vi dico: questi tornò a casa giustificato, a differenza dell'altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" (Lc.18,9-14).

Stupenda la figura del pubblicano, un termine che stava ad indicare allora tra i farisei una persona che non era perfettamente ligia alle consuetudini dei farisei. Consuetudini che non riflettevano la bontà interiore e che Gesù bollava come ipocrisia, ossia una maniera di nascondere la realtà interiore, facendo sfoggia di esterità che erano vere maschere dell'anima. E ci vuole una bella faccia tosta di mettersi davanti a Dio – e davanti anche a noi uomini – a raccontare le nostre virtù e i nostri meriti!

Stupendo invece l'atteggiamento del 'pubblicano', che sa perfettamente di essere un povero peccatore e mette nelle mani di Dio la sua immensa povertà, chiedendogli solo 'pietà'. Forse non sapeva neppure che era proprio questa umiltà che è la verità di noi stessi, ciò che è tanto cara a Dio ed attira la Sua misericordia che ci riveste di divina bellezza, vera bellezza del cuore. Così come forse non sapeva il fariseo, accecato dalla sua superbia, che in Dio, perfettissimo, suscita disgusto la superbia dell'uomo. E la superbia è farsi belli davanti agli uomini ed essere 'considerati': un modo insomma per fare sentire piccoli gli altri, come fossimo dei, e quindi umiliare chi deve essere amato. Perché qui è la differenza tra superbia e umiltà: il superbo umilia sempre chi gli passa vicino fino a considerarlo cosa di poco conto o nessun conto. L'umile invece ha un atteggiamento così buono e disponibile che tende ad elevare tutti quanti vede, anche i peccatori: ossia innalza gli altri.

Un grande poeta che davvero aveva tutte le caratteristiche del santo, Padre Clemente Rebora, che fu anche per un tempo mio padre spirituale, aveva sempre un atteggiamento che ti faceva sentire a tuo agio accanto a lui. Gli parlavo dei romanzi russi che leggevo, li commentavo e lui assentiva, senza sapere che lui era un grandissimo conoscitore della letteratura russa. A volte amavo strimpellare sull'organo: un vero disastro come musicista: e poi chiedevo a lui se piaceva ciò che avevo suonato. Non fosse stato umile mi avrebbe chiamato 'somaro!' Invece no: lui che conosceva bene la musica ed era un amante del pianoforte, sorrideva come a compatire la mia stupida voglia di vantare ciò che non ero.

Di sé diceva: "Io amo reputarmi 'concime', perché solo così posso essere utile per fare crescere il seme che Dio getta nel campo della Chiesa.

Purtroppo il Vangelo di oggi è sempre più una realtà che incontriamo.

Auguro ai miei amici di Internet di avere l'animo del 'pubblicano' e non quello del fariseo. Perché la gente, noi, abbiamo bisogno di gente umile che accoglie ed innalza e non di superbie che ti mortificano.

 

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