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TESTO Commento su Giovanni 10,14

Casa di Preghiera San Biagio FMA  

IV Domenica di Pasqua (Anno B) (03/05/2009)

Vangelo: Gv 10,14 Clicca per vedere le Letture (Vangelo: )

Visualizza Gv 10,11-18

11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.

14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Dalla Parola del giorno

“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”

Come vivere questa Parola?

L’immagine del pastore non è nuova nella Sacra Scrittura. Già l’Antico Testamento presentava Dio come il Pastore buono che si prende cura del suo gregge e che avrebbe inviato un Pastore secondo il suo cuore, in sostituzione delle guide del popolo che si erano rivelate mercenari avidi.

L’appropriarsi di questo titolo, da parte di Gesù, risulta quindi più che eloquente. È Lui l’inviato di Dio che tornerà a spalancare le porte dell’ovile, anzi Egli stesso se ne rivela la porta che permetterà nuovamente l’accesso ai prati ubertosi dove le pecore potranno pascolare liberamente. Come non riandare con il pensiero al giardino dell’Eden e quindi alla relazione di amore tra Dio e l’uomo?

L’idea è rafforzata da quel triplice richiamo alla ‘conoscenza’: le pecore conoscono la voce del pastore, sono da lui conosciute e lo conoscono. Biblicamente il ‘conoscere’ non si esaurisce in un atto intellettivo. Si tratta di una relazione profonda, segnata da intimità, reciprocità, amore. In una parola, tutto ciò che ci fa vivere in pienezza, nell’espansione gioiosa della nostra persona.

L’essere chiamati per nome equivale, in un certo senso, ad essere chiamati all’esistenza. È come l’eco di quella chiamata primordiale che ha fatto emergere dal nulla tutte le cose, che ci ha posto in essere. Anche il bimbo prende coscienza di se stesso come realtà positiva, valida, nella misura in cui si percepisce conosciuto così da quanti lo circondano. E nulla c’è di più avvilente e distruttivo che l’anonimato.

La Scrittura ci rassicura: per Dio non siamo masse senza volto e senza nome: ognuno di noi è chiamato per nome, conosciuto nel più profondo delle sue fibre, AMATO.

A nostra volta, noi dobbiamo familiarizzare con la voce del Pastore, imparare a riconoscerla e seguirlo, perché la relazione non resti bloccata.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, ascolterò nel silenzio di tutto il mio essere, il richiamo di Gesù che continua a raggiungermi e a farmi esistere.

Rendi sensibile il mio orecchio, Signore, perché io impari a riconoscere la tua voce e ti segua con serena fiducia.

La voce di un testimone

Cerchiamo di tener presente una certezza. Quale? Cristo dice a ciascuno: «Ti amo di un amore che non finirà. Io non ti lascerò mai. Attraverso lo Spirito Santo sarò sempre con te».
frère Roger di Taizé

 

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